Tutto merito della DEI
Il merito è un'illusione quando i blocchi di partenza sono diversi. Solo chi parte avvantaggiato "non vede" la differenza.

Dall’anno scolastico 2006-2007, quando fu introdotta la lode all’esame di maturità, il Ministero dell’istruzione mantiene un Albo Nazionale delle Eccellenze per “raccogliere i nominativi degli studenti meritevoli”, dove il merito è definito dall’ottenimento del diploma di scuola superiore con il punteggio di 100 e lode.
Il mio nome, insieme a quello di 4042 coevə da Nord a Sud Italia, compare su questo registro per l’anno scolastico 2007-2008.
Chiunque mi conosca può confermare la mia propensione allo studio, e che sui libri mi sono fatta il cosiddetto mazzo. “Enrica, studentessa meritevole” non è una falsità — ma racconta un briciolo di una storia che per raggiungere il traguardo del diploma “con merito” mi ha vista partire avvantaggiata, come la figura nell’immagine qui sopra che ha già iniziato a correre mentre le altre si stanno ancora sistemando ai blocchi di partenza.
I miei genitori sono entrambi professionisti laureati che hanno sempre dato la priorità all’istruzione dei loro tre figli. Quando non potevano seguirci nella creazione delle condizioni ideali allo studio, ci pensavano nonne e nonni.
Rivedo ancora nitide le immagini dei pomeriggi passati a fare i compiti con loro: alle elementari, con la nonna Enrichetta, diplomata magistrale, a ripetere congiuntivi e condizionali e tabelline del sette e poesie di Carducci e poi pure a scriverne, di piccole poesie in rima baciata. Alle medie, con il nonno Fulvio, laureato in chimica e farmacia, che mi spiegava regole di aritmetica e illustrava teoremi di geometria per guidarmi nella risoluzione degli esercizi. Al liceo, con la nonna Maria Luisa, laureata in lettere classiche, che mi aiutava a decifrare le versioni di greco e latino senza bisogno di aprire Rocci e Castiglioni-Mariotti.
Lo so solo io quante ore ho passato a studiare, quanti quaderni ho riempito di schematizzazioni, quante volte ho ripetuto prima dell’interrogazione, quanto seriamente ho scelto di approfondire. Sulla base del mio impegno, mi sono meritata certi risultati. Ma fammi nascere in un contesto familiare meno privilegiato e attento all’impegno, scolastico e non — è probabile che non avrei avuto le stesse opportunità di raggiungere traguardi cosiddetti “meritevoli”.
Questo non vuol dire che solo le persone che crescono in determinati contesti potranno essere meritevoli, né che tutte le persone che crescono in determinati contesti saranno meritevoli. L’impegno individuale conta assai. Ma fare finta che partiamo tutti dagli stessi blocchi nella “corsa” per il merito è proprio sbagliato.
Scrive il sociologo statunitense Musa Al-Gharbi nel suo libro Non siamo mai stati “woke”: le contraddizioni culturali di una nuova élite1:
Alcune persone crescono in famiglie stabili, in comunità sicure con buone scuole e con genitori che hanno denaro, capacità, conoscenze ed energie per aiutarle a sviluppare e sfruttare il loro capitale umano. Sono quindi ben posizionate per prosperare su basi ‘meritocratiche’. A molte altre mancano questi vantaggi.
Fa bene Al-Gharbi a virgolettare “meritocratiche”: la meritocrazia come la intendiamo è un concetto fallace. Il che non significa che il merito non esiste — significa che la meritocrazia non può esistere a meno che non tenga debito conto delle diverse condizioni di partenza.2
Non si tratta solo di condizioni materiali come l’estrazione socio-economica: anche certe caratteristiche completamente arbitrarie, come il sesso assegnato alla nascita e il colore della pelle, permettono ad alcune persone di partire dalla posizione più avanzata della figurina di cui sopra.
Ora, questo concetto non è per niente facile da cogliere e, soprattutto, accettare. La classe intellettuale progressista tende a farla semplice e pretendere assenso — è così, lo vuoi capire?!? Ti dò anche la figurina stilizzata per spiegartelo! Se mi fai qualche domanda in più per capire meglio sei parte del problema! — ma la verità è che a nessuno piace l’idea di aver beneficiato di una spintarella, per quanto spesso metaforica. È normale sentirsi invalidatə nei propri sforzi.
La svolta avviene nel momento in cui si capisce che riconoscere la “spintarella” che ti dà nascere e crescere in un certo modo non annulla in nessun modo l’impegno individuale. È per questo che ho voluto aprire il pezzo con un aneddoto personale, mettendo in discussione i miei stessi risultati (con buona pace di chi avrà pensato che volevo solo sbandierare un bel voto). Io sono certa di aver meritato quello che ho ottenuto; ma sono anche certa che la vita mi ha reso il compito più semplice, e che esistono tantissime persone che possono ottenere gli stessi risultati ma il sistema in cui operiamo glielo impedisce.
Queste persone meritano tanto quanto me. Sostenere che, in un sistema che per individuare il merito tiene conto delle differenze iniziali, “mi toglierebbero il posto” è un’accusa insensata, irragionevole, ingiusta e pure profondamente egoista. L’unica cosa che io ho in più è la provenienza da un contesto socio-culturale-economico privilegiato (non solo familiare, ma anche nazionale, rispetto ad altri Paesi), o la pelle bianca. Sono meriti, questi? No.
Ma, appunto, accettarlo non è facile, e l’Italia e gli Stati Uniti traboccano di persone convinte che meccanismi di ricerca del talento pensati per tenere conto delle differenze iniziali finiscano in realtà per dare opportunità a persone non sufficientemente qualificate.
Sotto questa falsa premessa, l’attuale governo degli Stati Uniti è impegnato nel sistematico smantellamento di tutte le strutture create apposta (e faticosamente) per ricordarci che il merito non è tutta farina del sacco individuale.
Dopo aver dichiarato che la sua amministrazione “forgerà una società che non vede il colore [della pelle] ed è basata sul merito”, Donald Trump ha decretato l’annullamento immediato di tutti i programmi per la promozione di diversità, equità e inclusione (DEI) nel governo federale: “Le pratiche di assunzione e valutazione della performance dei dipendenti federali dovranno riconoscere l’iniziativa, le capacità, la performance e il duro lavoro individuale; in nessuna circostanza dovranno tenere in considerazione fattori, obiettivi, politiche o mandati legati a diversità, equità e inclusione”.
Proprio a queste politiche Trump ha poi attribuito la responsabilità del tragico incidente aereo nei cieli di Washington, D.C.: i programmi DEI avrebbero succhiato fondi necessari a migliorare le procedure di sicurezza aerea della Federal Aviations Administration, l’autorità statunitense preposta al trasporto aereo; troppa attenzione alla diversità del personale avrebbe portato all’assunzione di candidatə (donne, persone nere, ecc.) non meritevoli.3
Se il merito non è solo frutto di capacità, performance e lavoro individuale, ne consegue che iniziative per la promozione di diversità e inclusione non remano contro al merito — ma incentivano la ricerca del merito laddove non viene normalmente ricercato.
Come ha articolato una direttrice creativa che si occupa di audience multiculturali in un’intervista che ho letto stamattina:
I programmi DEI non favoriscono persone poco qualificate. Fanno sì che tutte le persone qualificate vengano valutate su basi paritarie — a prescindere da razza, preferenza o identità sessuale, estrazione socio-economica, ecc. È la vera maniera di condurre assunzioni sulla base del merito.4
Per arrivare a questo punto, dobbiamo demistificare completamente la classica convinzione che “non vedere” il sesso, il colore della pelle, la disabilità, il background socio-economico, ecc. sia espressione di virtù.
Non vedi il sesso di una candidata, quanto sei bravo! Vuoi “forgiare una società che non vede il colore” (come Trump), quanto sei buono! Non fai distinzioni di classe sociale, quanto sei giusto! Non è così che l’Italia ci ha cresciuto?
Il problema è che una persona che ha visto il suo impegno per il merito non essere adeguatamente ricompensato, oppure negato completamente sulla base di una o più di queste dimensioni, beh… il sesso, o il colore, o la classe sociale, ecc. le vede benissimo, e ne soffre, e vorrebbe tanto essere vista, nel senso di capita e accolta.
A “non vedere” sono le persone che possono permettersi di togliere lo sguardo perché avvantaggiate ai blocchi di partenza. Non vedi il sesso perché non ti ha mai penalizzato. Non vedi il colore perché puoi muoverti per il mondo senza il peso di una pelle non bianca.5 Non vedi la disabilità perché non devi preoccuparti di entrare in ufficio senza una rampa. Non vedi non perché hai preso coscienza delle dinamiche che relegano certe comunità ai margini e le privano della possibilità di raggiungere il merito, ed è così che nelle tue azioni la diversità non fa più la differenza. No: non vedi perché non devi.
Non vedere, non pensare, non fare caso — se mai davvero sia possibile — sono condizioni di arrivo, non di partenza. Non si può non vedere senza prima aver visto; non si può togliere lo sguardo senza prima averlo avvicinato.
Ed è per questo che sono necessari programmi di sensibilizzazione e pratiche concrete che incentivano alla diversità, equità e inclusione, in qualsiasi spazio, dalla scuola al lavoro alla vita in comunità: per educare a vedere che non partiamo tuttə dallo stesso punto e a vedere merito dove normalmente non lo avremmo visto.
Titolo originale We Have Never Been Woke: The Cultural Contradictions of A New Elite (Princeton University Press). Il libro è uscito questo autunno negli Stati Uniti e non è ancora stato tradotto in italiano. Le traduzioni di titolo e citazione riportata sono mie.
Un famoso contributo alla demifisticazione dell’idea di successo come derivante esclusivamente da capacità e sforzi individuali proviene da Fuoriclasse: Storia del successo del giornalista e sociologo canadese Malcolm Gladwell (edito in Italia da Mondadori). Pertinente alla mia esperienza, Gladwell dimostra come studentə di classe medio-alta hanno più chance di “successo” non perché si impegnano di più a scuola, ma perché hanno a disposizione contesti e risorse ideali fuori da scuola (a casa al pomeriggio, o durante le vacanze estive).
Per giorni l’Esercito statunitense non ha divulgato l’identità di una delle tre persone che viaggiavano sull’elicottero militare coinvolto nell’incidente: era una donna, e alla luce dei commenti di Trump la famiglia aveva chiesto il riserbo.
Traduzione dall’inglese della sottoscritta.
Quanti spunti interessanti da discutere in un unico episodio!
La meritocrazia è un concetto fallace, un mito che, oltretutto, è nato con intento satirico: il suo stesso ideatore, Michael Young, lo ha contestato (ne avevo parlato in un vecchio numero di Ojalá, questo https://ojala.substack.com/p/13715296_ojal-22).
Peccato sia stato preso sul serio e la meritocrazia sia diventata la colonna portante di tanta parte del discorso neoliberista. Abbiamo davvero bisogno di ricordarcelo, che meriti e privilegi sono due concetti diversi e subdolamente legati tra loro.
Grazie per averlo contestualizzato sia con la tua esperienza personale che calandolo nel discorso politico statunitense.
Quanta verità nelle tue parole Enrica. Grazie, avevo proprio bisogno di leggerle. ✨