E ora, che ne sarà del mio viaggio?
Tiro le fila del mio viaggio, raccontandovi qualche retroscena e come intendo utilizzare le decine di interviste sulla parità di genere che ho raccolto in giro per l'Italia
È cliché citare la celebre poesia di Eugenio Montale per parlare di un viaggio? In un meme da social, forse sì. Qui su Substack, rivendico questa scelta un po’ perché l’avevo fatta già in questo pezzo, un po’ perché avviene con cognizione di causa.
È da quando la professoressa di italiano lesse alla mia classe Prima del viaggio (di cui riporto il testo più avanti) il primo giorno di seconda liceo, nel settembre del 2004, che la porto nel cuore.
Avevo quindici anni. Questa poesia non solo ha rivoluzionato nella mia testa il concetto di componimento lirico, per cui una poesia non deve essere tutta cieli azzurri montagne verdi e fiori di lillà, ma può contenere dettagli prosaici come le lamette da barba e dal sapore d’antan come il cambio valuta europea (di cui comunque sono vecchia abbastanza per aver fatto esperienza cosciente prima dell’avvento della moneta unica). Anche e soprattutto, Prima del viaggio ha introdotto nella mia vita il concetto dell’esistenza umana come un mistero, al quale dobbiamo arrenderci abbandonando ogni illusione di controllo.
Una provocazione gigantesca per una precisina ordinatissima a livelli che non esito a definire ossessivo-compulsivi (ve lo dimostro a breve).
Il mistero, dice Montale chiamandolo imprevisto, è una speranza, ed è l’unica che abbiamo. Il significato di questa affermazione è tanto duttile quanto inesauribile. È da vent’anni che lo sviscero nella mia testa, scoprendo sfumature sempre nuove a ogni svolta nel mio percorso di crescita.
Prendo quindi in prestito le parole di Montale per raccontarvi cosa è successo prima (e un po’ anche durante) e cosa succederà dopo il mio viaggio attraverso l’Italia per condurre interviste “di strada” sulla parità di genere e la libertà della donna.
Settembre 2023 — dicembre 2024
Prima del viaggio si scrutano gli orari, le coincidenze, le soste, le pernottazioni e le prenotazioni di camere con bagno o doccia, a un letto o due o addirittura un flat); si consultano le guide Hachette e quelle dei musei, si cambiano valute, si dividono franchi da escudos, rubli da copechi; prima del viaggio s'informa qualche amico o parente, si controllano valige e passaporti, si completa il corredo, si acquista un supplemento di lamette da barba, eventualmente si dà un'occhiata al testamento, pura scaramanzia perché i disastri aerei in percentuale sono nulla
Prima del mio viaggio, dagli Stati Uniti, ho definito insieme alla editor Simona il progetto editoriale per il libro che racconterà la mia inchiesta. Ho letto una dozzina di libri a tema femminista, in italiano, inglese e francese. Ho intervistato telematicamente una ventina di esperti sul tema, tra accademicə, attivistə, giornalistə e scrittorə.
Ho selezionato dodici tappe, ognuna legata a un episodio della storia della donna e della condizione femminile in Italia. Ogni episodio può essere ricondotto a un macro-argomento: diritti politici, diritti riproduttivi, diritti lavorativi, cultura dello stupro (che racchiude fenomeni come oggettificazione del corpo femminile, violenze, femminicidi).
Ho preparato un documento di venticinque pagine per definire l’itinerario e una lunga lista di domande da porre agli intervistati. Ho studiato minuziosamente le tappe usando la funzione Street View di Google Maps, identificando bar, parchi, luoghi di ritrovo dove avrei potuto incontrare persone con cui parlare.
Ho eseguito non poche acrobazie mentali per architettare un calendario di viaggio che coniugasse ragionevolezza geografica, sostenibilità degli spostamenti e la necessità di trovarmi in certi luoghi per incontrare certe persone in certe date specifiche.
Ho prenotato tre aerei, noleggiato due macchine, acquistato un biglietto del treno. Ho compilato un elenco delle prenotazioni che avrei fatto direttamente in Italia senza rischiare i costi folli dell’ultimo minuto: hotel, treni regionali, traghetti.
Ho felicemente rivissuto l’ebbrezza di svolgere una delle mie mansioni preferite quando lavoravo a Google: la creazione di un tracker su Google Sheets, per tenere traccia di tutte le interviste e tutta la bibliografia.1
Ho creato un profilo Instagram e lanciato questo Substack per condividere pensieri, impressioni, provocazioni dal cammino, sperando anche — inutile nasconderlo — di portare visibilità al progetto e coinvolgere sempre più persone nella lettura.
Su questo fronte, ho peccato di tracotanza. Ho preso accordi per dirette live e collaborazioni, promesso aggiornamenti interattivi su Instagram, annunciato dispacci regolari da Substack. Ho creduto di dovermi dare senza limiti perché altrimenti come faccio a diventare una scrittrice, come faccio a far conoscere questo progetto se non dico di sì a tutto e tutti con entusiasmo indiscriminato? Non importa a nessuno se io voglio scrivere e lo voglio veramente. Devo cogliere qualsiasi opportunità. Di questo ero convinta, sbagliando.
Infine, ho mandato email di presentazione del progetto che mi hanno guadagnato il privilegio di chiacchierare al telefono con tre scrittorə femministə di fama. I nomi sono irrilevanti: conta l’enorme dose di fiducia che queste tre persone, una in particolare, mi hanno dato.
…che non è bastata.
prima del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che il saggio non si muova e che il piacere di ritornare costi uno sproposito.
La fiducia in se stessi e nelle proprie idee non si può appaltare ad agenti esterni. Né all’illusione del controllo che sfida il mistero e reprime in superficie la paura che dilaga nel profondo.
Il 2023 è finito in preda al panico per quello che mi aspettava nel 2024. Sarebbe stato più saggio non muoversi? Ne ho parlato qui.
Poi sono partita.
Gennaio — febbraio 2024
E poi si parte e tutto è O.K. e tutto è per il meglio e inutile.
Sono stata formalmente in viaggio dal 15 gennaio al 10 febbraio. È andato tutto bene.
Alcune risorse messe insieme in fase di preparazione si sono rivelate meno utili del previsto: per esempio, la lunga lista di domande per le interviste. Certo, compilarla mi è servito a ragionare su come affrontare le conversazioni. Ma nella maggior parte dei casi, le interviste si sono sviluppate in maniera naturale e hanno preso una piega autentica e interessante senza bisogno di pescare dalle domande preconfezionate.
Ho visitato 21 località, in 16 province, in 10 regioni2 e parlato con 192 persone, di cui 156 “comunə cittadinə” e 24 espertə. Tra le voci dei comunə cittadinə, 92 sono state formalmente registrate (19 ore e 1 GB di audio). Con gli altri ho conversato in maniera più casuale e informale, senza registrare ma toccando corde significative e illuminanti che aggiungono colore all’esperienza. È tutto ben documentato e annotato nel tracker, ovviamente, con tanto di formule per calcolare i dati che mi permettono di creare tanti bei report colorati sui tratti demografici delle fonti (espertə esclusə):
Troppo accuratamente l'ho studiato senza saperne nulla. Un imprevisto è la sola speranza.
Gli imprevisti sono stati tanti.
Da un punto di vista di contenuto, ogni singola persona con cui ho parlato è stata un imprevisto. Penso in particolare a Giuliano, l’86enne “memoria storica” del paesino di Massa Fermana, nelle Marche. Poco dopo il mio arrivo in Comune — senza appuntamento! — a chiedere di parlare con qualcuno di Ada Natali, la prima donna sindaca d’Italia che il paese ha eletto nel 1946, si è palesato Giuliano, che fino a poco prima si stava godendo una tranquilla giornata da pensionato nella sua casa color verdino pallido, ignaro della mia esistenza.
“È quasi ora di pranzo e c’è un ristorantino dove possiamo andare”, mi ha proposto. Ci siamo salutati quattro ore dopo, il registratore appesantito da 183 MB di conversazione, il mio cuore colmo di gioia e gratitudine e domande aperte su come il rapporto con una persona per cui la lotta per i diritti delle donne è il centro della vita (Ada Natali) può cambiare la coscienza di un uomo (Giuliano).
Altro imprevisto è stato il cambio di direzione nella ricerca delle fonti: ero partita volendo trovare “gli italiani che non percepiscono, o minimizzano, o ridicolizzano i problemi legati alle disparità di genere”, convinta che l’Italia ne fosse un museo a cielo aperto. Ma come vi ho raccontato qui, ho scoperto presto che questi soggetti si nascondono bene. Molto più diffusi sono gli italiani convinti di non avere nulla a che fare con l’incoscienza di genere, ignari del fatto che parole e azioni da loro pronunciate e compiute ne sono la definizione.
Da un punto di vista di forma, l’imprevisto più grande — non pronosticato neppure nei meandri più reconditi del mio subconscio, ahimè — è stato il colossale dispendio di energie che ha richiesto mettersi tutti i giorni nella disposizione mentale giusta per cercare persone con cui parlare. Poi, una volta trovate, superare l’imbarazzo e conversare in maniera ricca e produttiva.
Sono una persona socievole e dalla parlantina vivace, ma non sono estroversa. Da piccola ero timidissima e tutt’ora avere a che fare con gli altri mi prosciuga. La condizione in cui mi sento maggiormente a mio agio e al riparo è la solitudine, stare con me stessa in silenzio.
Vi ho parlato qui della fatica che ho fatto a incontrare silenzio durante il viaggio. È stato un imprevisto non da poco, perché mi ha impedito di mantenere fede alle promesse che avevo fatto prima di partire. Su Instagram ho pubblicato tanti post e storie (raccolte qui, scorrendole si nota la progressiva perdita di energia), ma le dirette live in collaborazione sono state rimandate a data da destinarsi; su Substack non sono riuscita a scrivere più di un paio di post.
Va bene così. Perché il materiale ha bisogno di più tempo. Perché erano promesse tracotanti che esigevano troppo da me stessa. Perché — ed è questa la speranza che questo imprevisto mi ha regalato — sono stata costretta a riflettere su una cosa importante: puoi fare delle cose belle anche senza fuochi d’artificio. O meglio, la definizione di fuochi d’artificio è tutt’altro che statica. La riempi affidandoti al mistero.
Alla fine, tutto torna e si sistema: la sera di sabato 10 febbraio, mentre quattordici milioni di italiani guardavano la finale di Sanremo, sono tornata a Bologna con un giorno d’anticipo su un aereo ITA Airways da Palermo. Ero distrutta, non potevo rimanere in viaggio un momento di più. Stanca com’ero, non ho neanche assecondato il rammarico che lasciando Palermo prima del previsto avrei perso un workshop con nientepopodimeno che
, che non vedevo l’ora di incontrare di persona e i cui libri da farmi autografare avevo trascinato in valigia per due settimane.Il taxi dall’aeroporto mi ha scaricato a casa, senza aver conosciuto di persona Giulia Blasi, poco prima di mezzanotte. Ho dormito un sonno lungo, profondo e riparatore.
Mia nonna è morta nel pomeriggio di domenica 11 febbraio, più o meno all’ora in cui avrei dovuto lasciare Palermo secondo il piano originale.
Ma io ero già a casa, con lei.
Un imprevisto è la sola speranza. Non è una stoltezza dirselo.
Da ora in poi
E ora, che ne sarà del mio viaggio?
Questo progetto è uno (1) strumento sul cammino verso una carriera nella scrittura (povera scema, vi sento dire! Meglio scema che infelice e colma di rimpianti). Tornassi indietro a quando dopo il licenziamento da Google ho annunciato la mia svolta professionale, metterei meno enfasi sull’idea di scrivere un libro, quanto più sull’intenzione di muovermi verso la scrittura in senso molto più ampio e utilizzando molteplici strumenti e canali, di cui questo progetto è solo il primo esempio.
Per quanto riguarda il libro, è probabile che la narrazione seguirà le tappe dell’itinerario che ho compiuto. Per ogni tappa vi racconterò brevemente la storia politica/economica/sociale/culturale che ha motivato la scelta del luogo. Poi analizzerò un’intervista e/o un rapporto particolarmente significativo con una persona incontrata lì, che ci permette di osservare un aspetto o un comportamento tipico della mancanza di coscienza collettiva sulla parità di genere. Da qui emergeranno spunti di riflessione e domande che la voce narrante — io, vedi sotto — pone a se stessa e ai lettori su cosa possiamo fare per creare questa coscienza.
A legare le voci raccolte e le domande sorte a ogni tappa c’è la voce narrante, la “donna qui” che è anche l’unico personaggio ricorrente e costante del viaggio. Il collante tra persone e geografie diverse sono io, con le emozioni, i sentimenti, le difficoltà che ho incontrato sui binari paralleli di un viaggio interiore.
La scelta di usare il mio viaggio interiore come mastice della narrazione ha il suo peso. Significa che dovrò usare tanto la prima persona e parlare tanto di me stessa. Ma non è la vulnerabilità di questo espediente narrativo che mi spaventa, o almeno non credo. Incute timore l’idea che la gente pensi macheccefregadite.
Innumerevoli bottiglie d’inchiostro sono state prosciugate per avvertire gli scrittori che parlare troppo di sé è limitante. Chi sono io per reputarmi così interessante da arrogarmi il diritto di raccontare una storia che fa capo a me?
Davvero non sono nessuno (pur con il valore aggiunto dello sguardo di un’italiana che vive all’estero da quasi dieci anni e non è più assuefatta agli usi e costumi del nostro paese). Sono solo in possesso di una storia, fatta di 156 italiani incontrati in 21 località facenti capo a 16 province situate in 10 regioni. In questa diversità demografica e geografica si possono sì ritrovare denominatori comuni di pensieri sulla parità di genere e pregiudizi sulle donne, ma a dare veramente coesione alla storia è il racconto del viaggio stesso compiuto dalla “donna qui”.
È bastato portare quello che sono — una donna! — in giro per l’Italia — un paese privo di coscienza sulla libertà e dignità delle donne! — per far scattare qualcosa in me e negli altri. Ma questo non è parlare di me fine a se stesso. La storia del mio viaggio e delle emozioni che ha suscitato in me è al servizio di un obiettivo che è altro da me.
Mi rimetto al giudizio degli editori che valuteranno questa proposta e, se avrò la fortuna non scontata di superare questo scoglio, a chi vorrà leggerne il frutto.
Ricordando che la vita è un mistero al quale dobbiamo arrenderci, abbandonando ogni illusione di controllo.
Ma mi dicono che è una stolt...
NOOOOO! Fermatelooooooooo!!!!
Se questo mini assaggio di foglio di calcolo dove controllo in maniera ossessivo-compulsiva le attività sottostanti alla scrittura di un libro vi sembra negare la mia creatività di scrittrice, beh… innanzitutto non avete visto la sezione che documenta le interviste di strada, una sorta di anagrafe delle mie fonti compresa di link ad appunti, registrazioni e trascrizioni :-) La verità è che la mia creatività — la mia, gli altri fanno quello che vogliono — non può esistere senza la mia propensione all’ordine. L’organizzazione rende possibile ed esalta il mio processo creativo. E poi cos’è scrivere, se non mettere in ordine le parole?
Con il passaggio in Basilicata e Calabria, dove non ero mai stata, posso dire di aver visitato tutte le venti regioni d’Italia!