Cosa c'entra Papa Francesco con le persone che ho incontrato nel sud degli Stati Uniti?
L'esistenza di una persona è più complessa dei binari a cui siamo solitə ridurla
Sono rientrata dal mio road trip di sei giorni con partenza da Memphis, Tennessee (dove sono arrivata in aereo da Boulder), poi giù per le campagne dell’Arkansas orientale, per poi entrare in Mississippi e tagliarlo a metà fino alla costa del Golfo d’America del Messico, quindi risalire per l’Alabama e fermarmi a trovare alcuni parenti di James al confine con la Georgia, infine rientrare in volo dall’aeroporto di Atlanta (il maggiore negli Stati Uniti per traffico di passeggeri, mentre quello su cui ho volato di rientro, Denver, è il maggiore per superficie).
Google Maps qui sotto dice 1.392 km, secondo me tra una deviazione e l’altra sono arrivata a 1.500 e 15 ore di guida, tre motel all’americana vera, un hotel più confortevole sul Golfo d’America del Messico dove godere di asciugamani e materasso finalmente soffici, tanti diner, bar e ristoranti da villaggio, quattro stati in più aggiunti al mio percorso.1 Soprattutto, tante interviste e chiacchierate che occuperanno le pagine di Anche una donna qui per le settimane a venire, per raccontarvi cosa passa nella testa delle persone nel sud degli Stati Uniti su temi di politica, economia e vita americana in questo particolare momento storico.
Vi svelo un dato strabiliante: il conto finale della benzina per 1.500 km di viaggio in una berlina a noleggio, automatica e senza fronzoli ecologici, è ammontato a 67 dollari e 93 centesimi. Al cambio attuale, meno di 60€. Lascio a voi qualsiasi riflessione su cosa significa — se significa qualcosa — che l’unica eccezione al costo spaziale della vita negli Stati Uniti è la benzina.
Questo post rimane aperto a tutte le persone iscritte anche senza abbonamento. Nelle prossime settimane, valuterò quali racconti dal mio viaggio (e altri reportage direttamente dagli Stati Uniti che difficilmente trovate sulle testate tradizionali italiane) riservare a chi ha sottoscritto un abbonamento o sostenuto il mio lavoro di scrittrice indipendente tramite Ko-Fi. Fino al 29 aprile sarà possibile riscattare uno sconto del 50% sull’abbonamento annuale. Grazie di cuore a chiunque ha sostenuto il mio lavoro finora e sceglierà di farlo in futuro 🩵
Non so bene che ore sono quando arrivo a destinazione presso la fattoria dello zio acquisito e marito della zia materna del mio compagno James, in un villaggio dell’Alabama nord-orientale, Ranburne, abitato da poco più di quattrocento anime, tutte con la pelle bianca. Da quando mi sono avvicinata al confine con lo stato della Georgia, la app Salute del mio iPhone continua a inviarmi fastidiose notifiche invitandomi ad aggiornare l’orario di assunzione delle mie medicine ora che il fuso orario è cambiato, prima da centrale a orientale, poi da orientale a centrale, avanti e indietro così per ore.
È in zone di cuspide come questa che emerge tutta l’arbitrarietà del concetto di tempo, stabilito dall’umano per dare un senso all’alternarsi di luce e buio ma esperibile nella sua inconsistenza nelle località dove luce e buio si alternano nella stessa maniera, solo a ore diverse in virtù di un’immaginaria linea di demarcazione. A letto, la sera, il mio cellulare si fissa sul fuso orario orientale (sei ore in meno dall’Italia), benché la camera in cui dormo si trovi ufficialmente in quello centrale (sette ore in meno dall’Italia).
Raggiungo la fattoria nel pomeriggio di una splendida giornata di sole, con temperature di poco inferiori ai trenta gradi centigradi. Attorno a me la vastità dei campi di mais e soia su cui giacciono fienili, trattori e tanti altri macchinari agricoli che attendono l’inizio della semina.
Lo zio mi accoglie con gentilezza, constata il mio interesse per il paesaggio bucolico diverso dai panorami urbani a cui sono abituata e mi porta in esplorazione, prima attraversando i campi su un piccolo veicolo fuoristrada, poi avventurandoci all’interno di un grande fienile colmo di cimeli agricoli accumulati di generazione in generazione nei 125 anni di esistenza della fattoria.
All’entrata del fienile, un monito:
Vi avevo già parlato dello zio in questa uscita post-elettorale, portandolo a esempio come membro della popolazione bianca e rurale che si identifica pienamente nel populismo di Donald Trump. Lui non lo sa e mai lo saprà, ma spesso chiedo in prestito a James il suo cellulare per provare un misto di rabbia, indignazione e fascino scorrendo il profilo Facebook dello zio, una colorata raccolta di rumorosi post pro-Trump, pro-America, pro-pistole, anti-democratici, anti-woke, ecc. (spesso, le affermazioni contenute in questi post sono spudoratamente false).
Chi mi segue già da un po’ sa che la mia strategia di fronte a tutti gli -ismi che avvelenano il presente o hanno avvelenato la storia (sessismo, maschilismo, razzismo, trumpismo, berlusconismo, salvinismo, ecc.) è quella dell’ascolto dell’altra parte e della disamina — tramite lo strumento della scrittura — della complessità dell’esperienza umana, che necessita di spazio e profondità per essere accolta e compresa.
Espormi a situazioni di alterità che hanno il potere di indignarci è parte di questa strategia. È per questo che mi diletto di scrolling infinito sulla bacheca Facebook dello zio, e che mi troverete a intervistare gli agricoltori dell’Arkansas repubblicano più spesso delle ricercatrici di un’università urbana.
L’apertura a queste situazioni di alterità mi costringe a fare i conti con una tensione che secondo me è al cuore di tutto, e va abbracciata, accettata, studiata come essenziale per far fronte alla polarizzazione sociale che caratterizza questo momento storico.
Prima del mio breve soggiorno nella sua fattoria in Alabama, avevo incontrato lo zio una sola volta, durante una settimana di vacanza al mare in South Carolina dove avevamo interagito molto poco. Dopodiché, di lui ho fatto esperienza solo osservandone la bacheca Facebook. Non ho mai pensato che lo zio fosse “una brutta persona” sulla base della fede politica, soprattutto visto che si tratta di un parente (acquisito) del mio compagno, marito di una zia meravigliosa, padre di due persone eccezionali, nonno di sei nipoti splendidə! Ma è innegabile che dentro di me dimorasse un senso di sfida nei confronti di un uomo così ideologicamente lontano da ciò in cui credo.
Poi arrivo alla fattoria, lo zio mi accoglie, ci divertiamo e ridiamo in giro per i campi, con la zia mi porta a cena e chiacchieriamo piacevolmente, risponde alle mie domande e curiosità da giornalista, prende a cuore il mio interesse a conoscere gli Stati Uniti rurali che sono la sua casa, mi vuole bene…
…e c’è questa dissonanza enorme tra ciò che provo osservando quello che condivide su Facebook da un lato, e l’esperienza di persona, umana, incarnata dall’altro.
Credo che dentro questa tensione — nella capacità di accettarla, riconciliarla, risolverla — ci sia la chiave di tutto.
Ma da che parte si gira questa chiave?
Come porsi di fronte al fatto che persone come lo zio votano secondo valori e principi che una volta seduti alla Casa Bianca o a Palazzo Chigi infliggono male, cattiveria e violenza, ma sono anche persone buone, generose, premurose, che desiderano essere felici tanto quanto noi, che magari ci vogliono pure bene? Ne ho incontrate tante altre di queste persone, e ve ne parlerò nelle prossime puntate.
Intanto passiamo da Papa Francesco. Mai avrei pensato che avrebbe fatto capolino nei miei reportage dal sud degli Stati Uniti, finché non è morto appena dopo il mio rientro e ho riscontrato una similitudine tra la tensione di cui sopra e le reazioni contrastanti espresse sui social media alla morte del Papa.
Prendendo in prestito parole pronunciate dal pontefice stesso, il contrasto tra le diverse reazioni è fondamentalmente riassumibile nella dicotomia tra “se una persona è gay chi sono io per giudicarla” e “nella Chiesa c’è troppa frociaggine”.
Da un lato c’è chi ricorda Francesco come il Papa che si è finalmente aperto alla possibilità vera, naturale, autentica dell’omosessualità, delle unioni tra coppie dello stesso sesso e della comunione alle persone divorziate, il Papa che ha denunciato con vigore le politiche sui migranti di entrambe le amministrazioni Trump (addirittura ha ammonito J.D. Vance su questo tema nell’ultimo incontro ufficiale prima di morire — se sedessi alla Casa Bianca mi interrogherei sul significato di questa manovra del destino), che ha predicato il ritorno a una Chiesa più povera e meno sfarzosa, più vicina a chi ha bisogno, il Papa che è l’unico leader del mondo cosiddetto occidentale ad aver ipotizzato che la condotta di Israele a Gaza possa qualificarsi come genocidio.
Dall’altro, c’è chi del primo Papa sudamericano denuncia invece l’inaggirabile conservatorismo del cattolicesimo più dogmatico: la condanna senza mezzi termini dell’aborto (e di riflesso della capacità di una donna di decidere liberamente del proprio destino), l’intransigenza sulla mancata inclusione delle donne nella vita della Chiesa oltre a quello che
, in un’analisi su Fanpage.it, riconosce in maniera appropriata come sessismo benevolo2, la connivenza con i vertici del Vaticano sull’opposizione al ddl Zan, le dichiarazioni violentemente contrarie alla dignità di un’identità di genere diversa dal sesso assegnato alla nascita.“Il Papa più progressista, ha fatto del bene!”, si alzano certe voci; “No! Era un feroce conservatore, ha fatto del male!”, rispondono altre — su questi binari procede il dibattito social dall’annuncio della morte di Francesco, in un palleggio che annulla ogni sfumatura e ignora l’unica verità: Papa Francesco è stato entrambe le cose, così come lo zio dell’Alabama è un marito, padre e nonno buono e premuroso che vota a favore delle politiche cattive di Donald Trump.
Non riesco ad accettare l’idea che l’intera esistenza di una persona possa essere annullata in nome delle pennellate storte di un affresco estremamente vario, pieno di tensione, contraddizione e complessità, che è la cifra dell’umanità. Chiaro, non tuttə meritano che venga loro riservato questo beneficio: trovo molto difficile, per esempio, creare questo tipo di spazio per un autocrate come Donald Trump. Ma per la maggior parte di noi, l’esperienza umana è irriducibile a tante frazioni di significato indipendenti l’una dall’altra.
No shit, si dice in inglese, sans blague in francese: ma certo che Papa Francesco era un conservatore — era il capo della Chiesa cattolica, l’istituzione reazionaria, patriarcale e maschio-centrica per eccellenza!!! Allo stesso tempo, Papa Francesco ha mostrato progresso e apertura senza precedenti su temi che la Chiesa cattolica ha sempre gestito in maniera oltranzista e intransigente — ed è un fatto straordinario e positivo. Tutto questo è vero. Tutto coesiste, tutto è in tensione, nell’irriducibile complessità dell’esperienza umana.
La stessa Michela Murgia era femminista ed era credente (praticante). Era credente ed era femminista (praticante).
Io stessa sono stata cresciuta nella Chiesa cattolica e sono credente, riconosco l’esistenza di Dio e di un disegno divino e mi relaziono alla realtà con un forte senso di spiritualità (per cui la religione non è in ogni caso un requisito).
Allo stesso tempo, se sono diventata femminista e ho sviluppato un forte senso di rigetto per le ingiustizie sociali, devo l’onore anche alla Chiesa cattolica. Il messaggio che da bambina mi arrivava dall’altare, dalla gerarchia della Chiesa e dalla sua definizione di autorità divina (al maschile) era che “femmina” è meno di “maschio”. Per questo io ho sofferto. Provo rabbia e fastidio quando penso che tra qualche giorno un gruppo di soli uomini sceglierà, tra soli uomini, il futuro capo di un’istituzione che influenza il destino dell’Italia e del mondo pur abbracciando l’umanità in maniera selettiva.
Ci deve essere un modo per tenere tutto insieme, senza condonare o abbandonarsi all’ignavia. La vita è più complessa dei binari a cui la riduciamo quando pretendiamo di etichettare Papa Francesco come o progressista o conservatore, lo zio dell’Alabama come o buono o cattivo. Io non condono le posizioni ideologiche dello zio d’Alabama: il punto, come scrivevo anche qui, è trovare la linea di confine tra condonare e cooperare, tra chiudere un occhio con una persona che ha gli occhi chiusi e aprirne quattro insieme.

Non avevo previsto di usare così tanto la mia voce, invece di quella delle persone che ho incontrato nel sud degli Stati Uniti, in questo numero di Anche una donna qui. L’ho fatto perché le reazioni alla morte di Papa Francesco mi hanno offerto l’occasione di condividere l’impronta metodologica con cui affronto queste immersioni sociali e culturali.
Nelle prossime uscite lascerò spazio alle voci statunitensi che ho ascoltato lungo la strada, su argomenti quali dazi, immigrazione e l’ammirazione per Donald Trump e le sue politiche. Nel frattempo, se ancora non sei iscrittə, puoi farlo gratuitamente oppure con un abbonamento a tua scelta per sostenere il mio lavoro di scrittrice indipendente. Grazie!
Ora me ne mancano solo tre per arrivare a 50! Arizona, Idaho e North Dakota.
Scrive Guerra: “Per Francesco la Chiesa andava ‘smaschilizzata’, ma dietro questo neologismo si nascondeva una visione della donna intrisa di sessismo benevolo, cioè quella di una creatura servizievole, materna, votata alla cura e al sacrificio”.
Grazie Enrica, che tempo fa , in un altro testo dicevi "c'è spazio" e oggi ritrovo questo concetto nell'accoglienza delle varie sfaccettature della realtà e delle personalità. È così. Non è possibile ridurre una persona a un suo modo di essere o di esprimersi. Condivido quindi il commento di Federico. Riguardo alla presenza delle donne nella chiesa cattolica ti consiglio di leggere il bell’articolo di Marinella Perroni da Avvenire (https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2025/04/le-donne-nella-chiesa-ecco-i-passi-di.html?m=1). È un’ottima rassegna dei passi lenti ma sostanziali percorsi nei vari pontificati, fino all’ultimo di Francesco. Non basta dire “questa cosa è giusta, quindi si faccia” ma occorre gradualità. E saggezza nell’aspettare i tempi necessari. Francesco ha spesso ribadito che nella Chiesa il clero è ministro: il clero serve, non domina. E i laici, donne e uomini che vivono nel mondo, non devono aspettare ciò che il clero dice loro di fare. Devono agire la loro fede con matura consapevolezza e con discernimento. Questo è uno degli obiettivi del lavoro in modalità sinodale che si sta portando avanti in questi anni e che coinvolgono l'intero popolo di Dio (ma solo quello che VUOLE essere coinvolto… posso assicurare che agli incontri sul tema non c’è mai folla 😊…). Ecco che ai miei occhi di donna, laica e inserita attivamente nella chiesa, il sacerdozio femminile assume contorni meno urgenti. Forse quello che Francesco ha fatto non è tanto, ma probabilmente basterà a non invertire di nuovo la rotta. Ogni pontificato è un'opera incompiuta e la ricezione del Vaticano II non è ancora finita.
Cara Enrica,
ti ringrazio profondamente per questa splendida narrazione e per le tue considerazioni che condivido. In effetti come lo zio acquisito di James, come papa Francesco, e come chiunque (che bello, un pronome italiano inclusivo :D) siamo persone, non figurine né la somma algebrica di pensieri, parole, opere e omissioni. Il che significa secondo me che come persone dovremmo evitare di avere fretta di etichettare chiunque, senza per questo dire che ogni parola o ogni azione sia indifferente; come credenti, ricordarci che solo Gesù scruta il profondo e il cuore, e che non è venuto per condannare ma per salvare. L'esatto contrario di quello che sta facendo Trump con la sua corte.
By the way, la stazione di servizio abbandonata è davvero instagrammabile. Con uno scatto al crepuscolo, poi, avrebbe quel non so che di creepy che la renderebbe irresistibile. Alla prossima!