Virgolettati inventati: la pratica più inquietante del giornalismo italiano
Che è anche la più semplice da riformare, se solo lo volessimo e, prima ancora, ci accorgessimo di avere un problema
Pretendere dal giornalismo italiano virgolettati accurati non è né pedanteria, né ossessione: è chiedere al giornalismo di assolvere il suo compito più nobile, il suo dovere di svelare la verità, sbattendola in faccia ai potenti e ristabilendo giustizia.
Lettrici e lettori carissimə,
Voglio parlarvi di una piaga che affligge il giornalismo italiano.
L’argomento rientra pienamente nei confini concettuali di questa newsletter, che è uno spazio di riflessione non solo sulla mancanza di una coscienza collettiva sulla parità di genere, ma anche sulla giustizia sociale in senso più generale.
Se l’obiettivo più alto del giornalismo è, per tradurre la famosa frase inglese, dire la verità ai potenti (speaking truth to power), un problema che affligge il giornalismo è un problema di giustizia sociale. E su questo problema c’è una grave mancanza di coscienza in Italia, sia da parte di chi fa giornalismo, sia lato lettorə, spesso ignarə di ciò che accade nelle retrovie di un pezzo giornalistico.
Sto parlando del virgolettato inventato, ovvero l’abitudine di tantissimə giornalistə italianə di riportare tra virgolette non citazioni parola per parola delle affermazioni ottenute in intervista — come dovrebbe essere prassi ed è prassi nel resto del mondo — ma parafrasi o riassunti essenzialmente redatti dal/la giornalista o titolista.
Prima di approfondire, soffermiamoci un attimo sull’obiettivo più nobile del giornalismo: dire la verità ai potenti. I “potenti” non sono solo coloro che detengono il potere (autorità istituzionali, alte dirigenze aziendali, ecc.), ma anche per estensione chi beneficia delle decisioni di coloro che detengono il potere.
Le decisioni dei potenti avvantaggiano certe comunità e ne danneggiano altre. A essere avvantaggiati solitamente sono gli uomini bianchi, occidentali, ricchi, eterosessuali. Le comunità più spesso danneggiate sono invece quelle tradizionalmente relegate a gradini inferiori della scala sociale: donne, famiglie povere, persone non bianche, persone omotransessuali, ecc.
Il buon giornalismo che dice la verità ai potenti — che prendano decisioni o ne beneficino — fa la differenza tra diritti e soprusi, libertà e oppressione, giustizia e ingiustizia. Dal buon giornalismo dipendono civiltà, progresso, democrazia.
Ma perché sia buon giornalismo, deve aderire a una serie di buone pratiche, che a loro volta devono professare un solo e unico amore: quello per la verità.
In greco, verità è ἀλήθεια (aletheia), che significa “ciò che non è nascosto”. Esporre la verità significa portare alla luce ciò che altrimenti rimane nascosto. Ma attenzione: ciò che altrimenti rimane nascosto esiste in una certa forma a prescindere da che venga o no rivelato.
In altre parole: esporre la verità come giornalista significa portarla alla luce senza manipolarla. Per dire la verità ai potenti, lə giornalista deve preoccuparsi di una e una sola cosa: riferire ciò che è realmente accaduto o è stato realmente detto, senza modificarne la natura.
Non si può arbitrariamente cambiare forma alla verità. Se lo fai e sei fortunatə, magari non succede niente. Ma in linea di principio, stai seminando disinformazione.
Virgolettato inventato e disinformazione
Ho frequentato la scuola di giornalismo negli Stati Uniti, presso Medill School of Journalism di Northwestern University. Istituzione di punta, la nomea di Medill è legata anche alla cosiddetta “Medill F”, la valutazione peggiore assegnabile al lavoro degli studenti. F è l’iniziale di Fail, il voto più basso nel sistema scolastico americano.
Un pezzo giornalistico in qualsiasi formato (scritto, video, audio) riceve automaticamente come voto una Medill F — che fa media come un 18 — se contiene:
Errori fattuali. Per esempio, scrivere che nel crollo di una palazzina sono morte sette persone quando ne sono morte sei. Non è un dettaglio: è un’intera vita umana. Se il tuo pezzo la uccide per sbaglio, significa che non hai raccolto informazioni con sufficiente diligenza per esporre la verità.
Nomi sbagliati di persone, luoghi, istituzioni. Dario Rossi non è Mario Rossi. Folgaria, provincia di Trento, non è Folgarida, provincia di Trento.
Citazioni tra virgolette che non riportano esattamente, parola per parola, ciò che la fonte ha dichiarato al/la giornalista.
Un buon 20% del giornalismo italiano rispetta questi principi cardine. Ho notato che di solito si tratta di testate più piccole, spesso digitali, fuori dal circuito tradizionale.
Il restante 80%, concentrato nelle testate che finiscono sotto gli occhi della maggior parte degli italiani? Se frequentasse Medill anche solo per una settimana, la media dei voti sarebbe pari a un’enorme, gigantesca, imbarazzante Medill F, soprattutto sul fronte citazioni (ma spesso purtroppo anche gli altri; ne riparleremo).
Aprite il sito del Corriere o la copia cartacea di oggi, nel caso estremo in cui l’abbiate acquistata. Il principale quotidiano dell’ottava economia mondiale (dati Forbes) utilizza le virgolette per “citare” (qui le virgolette sono sarcastiche) le fonti degli articoli non parola per parola, ma parafrasando le affermazioni o riassumendone il senso generale.
Se la frase tra virgolette contiene una parafrasi o un riassunto di ciò che è stato detto, quella frase non riporta ciò che è stato letteralmente detto e, per definizione e per amore del buon giornalismo e della verità, non può essere una citazione tra virgolette. Punto, fine, non ci sarebbe neanche da discutere su questa cosa. Non va fatta, nel modo più assoluto.
Quando racconto la novella tutta italiana del virgolettato inventato allə miə colleghə giornalistə americanə, rimangono sconvoltə. Fuori dall’Italia se fai una cosa del genere puoi scordarti di lavorare come giornalista.
Vi sembra un’esagerazione? Facciamo prima un esempio, poi torniamo a parlare di giornalismo e verità.
Immaginate che per criticare il virgolettato dell’80% del giornalismo italiano decidessi, non a caso, di citare il ventiseiesimo canto dell’Inferno. Immaginate che lo facessi così:
“Pensate alla vostra origine: non siete stati creati per vivere come animali, ma per dedicarvi alla virtù e alla conoscenza" (Dante, Inferno XXVI)
Oppure così:
“Seguite virtù e conoscenza perché, pensateci, non siete animali” (Dante, Inferno XXVI)
La hybris che condanna Ulisse al folle volo nelle Colonne d’Ercole è poca cosa rispetto alla sottoscritta che riscrive una celebre terzina della Divina Commedia1 con una parafrasi (la prima) o un riassunto del senso generale (la seconda), eleva le sue di lei parole all’onore delle virgolette, infine le attribuisce al Sommo Poeta!
L’esempio può essere estremo, ma parafrasare o riassumere tra virgolette le fonti di un pezzo giornalistico è tanto grave quanto mettere nel calamaio di Dante parole che da lì non sono uscite.
La parafrasi e, in modo particolare, il riassunto sono atti interpretativi. Non è pensabile riportare una dichiarazione “a braccio” senza che in qualche modo intervenga la mediazione soggettiva di chi scrive. Il rischio di dire la cosa sbagliata è altissimo, con triplice effetto negativo:
Per lə giornalista e la testata, che dovrebbero essere terrorizzati all’idea di pubblicare il falso. Dire la cosa sbagliata equivale a perdere credibilità. Non è un’ipotesi remota: personalmente, faccio fatica a fidarmi delle testate che inventano i virgolettati (sì, pure Repubblica e Corriere). Come posso fidarmi, se non ho la certezza di stare leggendo la verità?
Per la fonte intervistata, il cui pensiero potrebbe essere completamente distorto. Se così, la fonte farebbe bene a intentare una causa per diffamazione. E al di là dei contenziosi legali, per grazia del cielo, perché negare a una persona il diritto a essere citata fedelmente? Se mi trovassi dall’altra parte della barricata giornalistica — intervistata e non intervistante — desidererei (pretenderei!) che le mie affermazioni non fossero manipolate di una virgola. In questo senso, proteggere le fonti è un dovere morale del/la giornalista.
Per lə lettorə, che corre il rischio maggiore del virgolettato inventato da un punto di vista etico, di giustizia e di libertà: la disinformazione.
È per questo che tra tutte le piaghe che affliggono il giornalismo italiano (la lista è lunga), il virgolettato inventato è, secondo il mio modesto parere, la più inquietante.
Non ci vuole l’esegesi dell’etimologia greca di “verità” per capire che modificare le citazioni delle fonti è l’esatto contrario di fare giornalismo: è scrivere finzione. Il virgolettato inventato è una forma di manipolazione della verità. Utilizzarlo indiscriminatamente impedisce di raggiungere l’obiettivo più alto del giornalismo.
Non importa che spesso ci sia poca differenza tra la citazione vera e la versione tra virgolette: è un colpo di fortuna, non la giustificazione per legittimare una consuetudine pericolosa.
Buone notizie: è facile sanare il virgolettato se sai come farlo
La pratica più inquietante del giornalismo italiano è anche la più semplice da riformare.
È sufficiente un bel registratore, un software di trascrizione e la semplice e chiara indicazione da parte della direzione della testata che tra virgolette si mettono solo citazioni letterali. Lə giornalista è liberə di utilizzare parafrasi o riassumere le informazioni ricevute — ci mancherebbe, quello sì che è giornalismo! — basta che non le metta tra virgolette. Fine della storia.
Se la riforma è così semplice e non è ancora stata attuata, significa due cose.
Primo, che non sappiamo di avere un problema. L’unica analisi del “virgolettato a caso” che negli anni sono riuscita a scovare risale al 2018 ed è stata scritta da Matteo Bordone per Il Post. L’unica, tanto siamo convinti che inventare le citazioni sia normale. Il plurale “noi” ingloba giornalistə, lettorə e pure la sottoscritta, fino al giorno di nove estati fa in cui ho varcato la soglia di Medill. Prima di allora, praticavo anche io senza alcuna remora quello che Bordone, nel suo eccellente commento, chiama virgolettato ad minchiam.
Secondo, significa che l’80% del giornalismo italiano è pigro.
Utilizzare virgolettati che davvero riportano le citazioni delle fonti parola per parola, rispettando il diritto alla verità delle fonti e di chi legge, richiede tanto tempo. Lo so bene io, che tra gennaio e febbraio ho raccolto diciannove ore di interviste da novantadue fonti sul tema della parità di genere.
La mia impressione è che il virgolettato inventato dell’80% del giornalismo italiano non sia solo indifferenza alle pratiche del buon giornalismo. Ai piani alti delle redazioni — là dove le buone pratiche si scrivono e dispensano — si chiude un occhio sui virgolettati perché curarli allungherebbe i tempi della cronaca invece di continuare a dimezzarli, in un mondo in cui l’informazione è sempre più condivisa hic et nunc.
Il problema è che nel buon giornalismo, la scelta tra “velocità” e “accuratezza” non può e non deve esistere. O meglio: l’accuratezza deve sempre vincere sulla velocità; il contrario apre le porte al folle volo — per riprendere il ventiseiesimo canto dell’Inferno — della disinformazione.
Non è impossibile fare informazione in tempo (quasi) reale mostrando anche amore per la verità. All’estero ci riescono. E poi, che diamine: è giornalismo! L’amore per la verità è il cuore della professione.
Qui ovviamente entriamo in un campo minato: i motivi per cui al giorno d’oggi la velocità vince così spesso sull’accuratezza, ovvero come l’avvento di internet ha trasformato il giornalismo in maniera profonda e irreversibile. Ma, appunto, si tratta di un discorso che va ben oltre il virgolettato per inglobare tante altre cattive pratiche del giornalismo italiano odierno, di cui vorrei parlare in un’edizione futura di Anche una donna qui2.
Pretendere dal giornalismo italiano virgolettati accurati non è né pedanteria, né ossessione: è chiedere al giornalismo di assolvere il suo compito più nobile, il suo dovere di svelare la verità, sbattendola in faccia ai potenti e ristabilendo giustizia.
Verità e giustizia partono da una citazione accurata. Spetta al/la giornalista garantirla.
La terzina è tra le maggiormente conosciute e imparate a memoria della Commedia, quindi do abbastanza per scontato che sia chiaro che la citazione non è letterale. Riporto comunque la terzina originale qui a piè di pagina, anche perché spesso mi leggono, in traduzione automatica, amici stranieri che probabilmente non la conoscono: “Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza” (Google Translate dovrebbe funzionare bene con citazioni letterarie).
Vi regalo un assaggio, senza scendere in dettagli: l’assenza pressoché totale di fact-checking soprattutto delle notizie dell’ultima ora, lə giornalista che tira conclusioni a caso, immaginarsi cose che non sono successe perché si presume che siano successe, il sensazionalismo, l’obsolescenza dell’Ordine dei giornalisti.