Per capire cosa è successo bisogna allargare lo sguardo
Se manca una visione per il paese che abbracci davvero tutta la popolazione, è difficile vincere (e perché a sto giro parlerò meno della questione di genere)
Il Partito Democratico è l’unico a portare avanti le cause e i valori che davvero possono esaltare e realizzare l’umanità di tutte le persone. Il problema è che le porta avanti scordandosi dell’umanità di alcune persone, ponendosi come obiettivo la sconfitta di Donald Trump senza rendersi conto che ci sono persone per cui “sconfiggere Donald Trump” è sinonimo di “sconfiggere me stessə e il mio desiderio più profondo”.

L’avevo scritto esattamente due mesi fa, il 7 settembre: “Sconfiggere Trump è un obiettivo elettorale, non un progetto per il paese. Un vero progetto per il paese sarebbe prendere sul serio i milioni di persone che hanno reso possibile il successo di Trump e offrire loro un’alternativa attraente”.
No, non ve lo dico per rivendicare di aver avuto ragione, anche perché da quello che si legge in giro, nessuno mi sta dando ragione sul fatto che questa sia la ragione1; ve lo dico perché faccio fatica a capacitarmi del fatto che un concetto all’apparenza così basilare sembri ancora sfuggire a chi dovrebbe assumersene le responsabilità.
In realtà, il motivo per cui è così difficile per il Partito Democratico assumersi la responsabilità di offrire una visione anche a chi è abboccato all’amo della “Grande America” che Trump vuole restaurare è il seguente, e cito da uno dei primi articoli con cui New York Times ha cominciato a poco a poco ad analizzare la seconda vittoria elettorale — la rivincita! — di Donald Trump:
“Nel comizio conclusivo della campagna la scorsa settimana”, recita il paragrafo introduttivo, “Kamala Harris si è espressa con disdegno nei confronti di Donald Trump, definendolo un’anomalia che non rappresenta l’America. ‘Non è questo che siamo’, ha dichiarato”.
Il grassetto è mio, perché coglie il punto fondamentale della questione: milioni di persone americane ti stanno dicendo, da ormai dieci anni, che non si sentono felici — laddove la parola “felice” non è un aggettivo infantile per esprimere contentezza, ma è letteralmente la promessa del paese America nella Dichiarazione di Indipendenza del 17762, simultaneamente l’inizio del progetto statunitense post-coloniale e il fine al quale tende — che si sentono sottovalutate nelle loro richieste, nei loro bisogni e nei loro desideri, e che l’unico uomo che sembra invece ascoltarle si chiama Donald Trump.
E tu gli rispondi: “Voi non siete l’America”.
E come no. Certo che lo sono. Nel 2016, potevamo ancora aggrapparci alla discrepanza tra il risultato del voto popolare, per cui contati singolarmente i voti delle persone americane dichiaravano una preferenza per Hillary Clinton, e il voto elettorale (decisivo) che hanno invece consegnato la presidenza a Donald Trump. E sì, forse potevamo ancora dire che l’America aveva scelto Clinton e il mandato a Trump non era completo (ma già allora non potevamo dire che chi aveva votato Trump non rappresentava l’America).
Nel 2024 non possiamo più aggrapparci neanche a questo. Il voto popolare, per la prima volta nei vent’anni dalle elezioni del 2004 vinte da George W. Bush, ha chiaramente indicato Donald Trump come il leader prescelto alla guida del paese. Questa è l’America.
So bene che non devo convincere voi, che per la maggior parte mi leggete dall’Europa. Ma le persone americane negli ambienti liberali che frequento — e ai quali appartengo: se ne avessi avuto il diritto, io avrei votato per Kamala Harris; se potessi registrarmi alle liste elettorali, sceglierei quelle del Partito Democratico — fanno molta fatica ad accettare questa realtà.
Perché a scuola si studia, per le strade si dice, nei libri si scrive che l’America è buona, giusta e onesta: è eccezionale.
Così eccezionale che quando succede qualcosa di brutto — bambinə che muoiono sui banchi di scuola sotto una raffica di proiettili, insurrezioni nell’anno del signore 2021, un despota miliardario, razzista, misogino, violento eletto alla guida del paese — la risposta universale è “This is not America”. Questa non è l’America. Come può esserlo, se l’America è eccezionale? Vi consiglio la lettura di questo brillante articolo dell’intellettuale afro-americano Ibram X. Kendi, uscito su The Atlantic all’indomani dell’insurrezione delle fringe pro-Trump il 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, che illustra in maniera illuminante il meccanismo difensivo dell’espressione “This is not America”.3
Ora, cosa c’entra “This is not America” con il risultato delle elezioni presidenziali di questa settimana?
C’entra, perché io sono fermamente convinta che è proprio a forza di “This is not America” che il Partito Democratico abbia perso e continuerà a perdere: la razionalizzazione del fenomeno Trump come altro dal cuore di questo paese è ciò che impedisce al progressismo di formulare una visione alternativa, allettante, irresistibile per le persone che del fenomeno Trump sono responsabili, e che vanno prese sul serio perché anche loro sono l’America, e anche loro hanno diritto alla protezione della vita, della libertà e della ricerca della felicità.
Ne sono fermamente convinta, ma vedo il dolore delle mie amiche e amici americanə progressistə in questo momento — che ha il diritto di essere più forte del mio — e capisco che è difficile per loro accettarlo, come è legittimo che sia. Perché la vittoria di Trump fa malissimo e sancisce in maniera devastante la gloria e l’impunità della violenza, del razzismo sdoganato, della misoginia e del sessismo istituzionalizzati, della discriminazione verso persone transgender, queer e non binarie. La vittoria di Trump priva di conseguenze azioni e comportamenti inaccettabili che negano completamente i valori della democrazia, della giustizia e della verità: l’uomo è un criminale ufficialmente riconosciuto con una serie di processi e condanne pendenti, un bugiardo a cui è concesso di esistere al di sopra della decenza, uno stupratore, per dio!
Niente di tutto ciò è giusto. Ci deve fare male. Non possiamo accettarlo.
Ma per non accettarlo e mobilitarci di conseguenza non possiamo continuare, come abbiamo fatto finora, a limitarci a ragionamenti di testa che ci portano oggi, come fanno tante persone americane progressiste che conosco, a farci domande del tipo: avevamo dimostrato con fior di fact-checking che Trump dice bugie, perché l’hanno votato lo stesso? I libri di storia dimostrano che le azioni di Trump non rispondono alla definizione di democrazia, perché scelgono lui? Ha rimosso il diritto all’aborto, perché continuano ad adorarlo? Perché, perché, perché?
Perché stanno ascoltando la pancia e non gliene importa niente della testa. Hanno ragione? Per come la vedo io, no! Per carità del cielo! Trump non ha a cuore il destino di queste persone. Non ha a cuore il destino di nessuno: solo il suo. Ma le sa ascoltare e sa rispondere, mentre noi non ne siamo capaci.
Il Partito Democratico è l’unico a portare avanti le cause e i valori che davvero possono esaltare e realizzare l’umanità di tutte le persone. Il problema è che le porta avanti scordandosi dell’umanità di alcune persone, ponendosi come obiettivo la sconfitta di Trump senza rendersi conto che ci sono persone per cui “sconfiggere Donald Trump” è sinonimo di “sconfiggere me stessə e il mio desiderio più profondo”.
Lo ripeterò fino allo sfinimento: sconfiggere Donald Trump è un obiettivo elettorale, non un progetto per il paese. Un progetto per il paese è una visione comprensiva che abbraccia l’umanità di tutte le persone, le guarda in faccia e dice: divergiamo in tanti modi, ma non nell’umanità che ci accomuna e nel desiderio di poter ricercare la felicità che è la promessa costitutiva del nostro paese. Anche tu sei l’America: ecco cosa posso darti, se decidi di fidarti.
Sconfiggere Donald Trump è uno step nella direzione di una visione comprensiva che abbraccia anche chi non ci piace — non è la direzione. Non si vince volendo sconfiggere, formulando un obiettivo in negativo — si vince perché si ha qualcosa di offrire in positivo, a prescindere da chi c’è dall’altra parte. Guarda caso, il Partito Democratico ha perso. Il Partito Repubblicano non ha nulla di positivo da offrire, ma ha la coesione intorno a un’idea e una visione, che può non piacerci, ma al momento ciò che conta è la pancia, non la testa.
È per questo che, forse a sorpresa, non mi sentirete parlare tanto di questione di genere all’indomani della seconda sconfitta nella storia della seconda donna della storia che ha provato a entrare alla Casa Bianca. È ovvio che sesso e razza si intersecano in maniera inseparabile dall’esito delle elezioni. È ovvio che tante persone non hanno scelto Harris a causa di sessismo e razzismo, perché è una donna nera. È ovvio che è una cosa gravissima e devastante, e che non possiamo permetterci di separarla da qualsiasi analisi di questa situazione.
Ma per quanto mi riguarda, quest’anno (al contrario del 2016) la questione di genere è un derivato del cuore fondamentale di tutto, ovvero la mancanza di visione allettante, irresistibile, convincente per il paese. È su questo che si è giocata la partita. Se così, avrebbe perso anche Joe Biden, uomo bianco. Tutto il resto c’entra ed è essenziale, ma non è focalizzandosi lì, o su qualsiasi altro fattore in gioco (come ad esempio l’economia) in maniera isolata da tutto il resto che si riparte — si riparte allargando lo sguardo.
Che ci piaccia o no, le persone che non la pensano come noi esistono e hanno diritto a una vita felice. Condanniamo e lottiamo sempre contro la violenza, il razzismo, la misoginia, il sessismo, l’esclusione e le ingiustizie di tutti i tipi. Ma condannare e lottare contro l’umanità di chi non la pensa come noi non solo è controproducente: è una sconfitta.
Che le elezioni presidenziali statunitensi del 2024 ci siano di lezione in questo senso, anche in Italia.
🎙️ Ti interessano questi argomenti? Abbiamo creato il podcast perfetto per te!
Oggi è uscito il secondo episodio di Americanate, il podcast su politica, cultura e attualità sugli Stati Uniti condotto da Elide Pantoli e la sottoscritta, direttamente dai nostri rispettivi appartamenti a Denver e Boulder, in Colorado.
Nell’episodio di oggi Elide e io parliamo proprio del risultato delle elezioni e dei temi che avete appena letto in questo pezzo. Saremmo felici se voleste ascoltarci!
E potrebbe benissimo non esserlo, ma io ci credo molto, anche perché tutto quanto provato finora per arginare il successo di Trump non sembra funzionare.
“Riteniamo che queste verità siano sacre e innegabili: che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che il Creatore ha dato loro certi diritti inalienabili, tra i quali la vita, la libertà e la ricerca della felicità”
Scrivo in nota a piè di pagina perché è un tema marginale, ma voglio offrirvi un paio di analogie per riflettere un po’ di più sul perché è così difficile per le persone americane accettare questo momento di cambiamento. Prima analogia: quando andavo a scuola, mi impegnavo e prendevo voti alti, mi sono così abituata a prendere voti alti che se improvvisamente me ne arrivava uno più basso, porca miseria che fatica facevo ad accettarlo! Ora immaginatevi voi, crescere pensando che il paese in cui sei natə non è più capace di prendere voti alti. Seconda analogia, applicabile al popolo italiano: siamo cresciutə con una nazionale di calcio maschile di grande successo. Io personalmente ho vissuto la vittoria di solo un mondiale nel 2006, ma alcuni di voi c’erano anche nel 1982, i nostri nonni anche nel 1930 e 1934. Poi, tutto a un tratto, nel 2018 gli Azzurri non si sono qualificati ai Mondiali. Ma come! Siamo abituatə a essere eccezionali! È così difficile accettare di non esserlo, che è più semplice fare finta che sia un’anomalia e andare avanti come abbiamo sempre fatto. Bene: quattro anni dopo (guarda caso il lasso di tempo tra un Mondiale e quello successivo è lo stesso delle presidenziali americane) è successo di nuovo. E succederà di nuovo nel 2026, a meno che non accettiamo che questa è la nuova realtà, che l’Italia del calcio maschile non è poi così eccezionale. Ma che fatica farlo! Ecco, mi sembra che questa semplice analogia illustri in maniera chiara cosa accade nella testa delle persone americane.
Continuo a pensare a una delle interviste che hai pubblicato nello scorso numero della newsletter, a quel signore cubano arrivato di recente che - dice - se avesse potuto avrebbe votato per Trump visto che la sua situazione migratoria ormai è ok. Che pugno nello stomaco. Eppure è un grande testimone dei tempi che viviamo, dominati dal severo e atroce individualismo, dalla corsa alla sopravvivenza individuale e da risposte politiche estreme che arrivano di conseguenza.
Per prima cosa: grazie di questo pezzo come degli altri che hai scritto in questi ultimi giorni, a partire dagli incontri che hai fatto nei due Panhandles, e complimenti per la tua capacità di integrare queste esperienze in una lettura più ampia della realtà in cui vivi.
Aldilà delle belle parole, che dire? Il quadro è tutt'altro che rassicurante. In primo luogo per l'individualismo in cui la proposta di capri espiatori convince tante persone, soprattutto chi vive ai margini (mi sono chiesto, in questi giorni: quante volte Reicel ha dovuto spiegare di essere un migrante regolare, da quando è arrivato negli Stati Uniti? E quanto questo può averlo spinto alla sua posizione politica attuale?). Ma anche per tutto il "this is not America, they are not America" di cui scrivi. Che non è soltanto un'illusione, non è soltanto una falsità macroscopica, ma è soprattutto la trave che impedisce di vedere bene, per rifarmi al Vangelo. Ti auguro di riuscire a fare qualcosa al riguardo: magari iniziando con il tuo ragazzo e i due amici con cui avete vissuto la notte elettorale, e che poi a poco a poco questo atteggiamento stupido possa essere superato. Ci vorrà tempo, ma... in bocca al lupo!