Il contentino del governo sulla cittadinanza italiana
La stretta sulla cittadinanza per discendenza a qualche mese dal referendum è un classico esempio di propaganda alla "hanno fatto anche cose buone"

La settimana scorsa, il Consiglio dei ministri italiano ha approvato un decreto legge che limita l’ottenimento della cittadinanza italiana per discendenza alla generazione dei nonni. Finora, poteva richiedere cittadinanza chiunque vantasse antenatə italianə (ovvero i cui genitori erano a loro volta cittadinə italianə, secondo il principio dello ius sanguinis) senza limiti generazionali.
“Essere cittadini italiani è una cosa seria”, ha dichiarato in conferenza stampa il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, promotore del decreto legge. “La concessione della cittadinanza non può essere un automatismo per chi ha un antenato emigrato secoli fa, senza alcun legame culturale o linguistico con il Paese”.
Era ora che ci arrivaste, sospiriamo noi che da tempo immemore denunciamo la discrepanza tra la facilità (al netto della burocrazia) con cui una persona di nazionalità estera ottiene un passaporto italiano dimostrando di avere un milligrammo di “sangue italiano” (concetto già di per sé problematico), e la discriminazione e il razzismo che invece l’Italia riserva a chi vi nasce, cresce, vive, studia, diventa persona adulta, lavora, paga le tasse, tifa Azzurrə ai Mondiali e alle Olimpiadi, guarda Sanremo, si esprime nelle più svariate cadenze e dialetti locali, mangia pasta a pranzo e pizza il sabato sera, ecc. senza però vantare “sangue italiano” di fronte alla legge.
Questa “stretta sulla cittadinanza”, come titolano i giornali tra cui La Voce di New York, periodico statunitense dedicato proprio alle persone italiane per discendenza, è una novità ben gradita. È ridicolo che l’Italia accolga a braccia aperte chi non ha legame alcuno con il nostro Paese rispetto a chi ce l’ha, anche perché a moltissime delle persone discendenti da “sangue italiano” l’Italia non interessa proprio. Il punto è la cittadinanza europea e il diritto a risiedere e lavorare in tutti e ventisette gli Stati membri dell’Unione automaticamente guadagnati con un passaporto italiano; il punto, per chi già è titolare di un passaporto privilegiato, è fare la fila più corta al controllo immigrazione per andarsi a bere uno spritz di fronte alla Fontana di Trevi.
Vivendo all’estero a stretto contatto con persone di nazionalità per noi straniere, ho ricevuto diverse richieste di aiuto1 da persone interessate a riscattare il proprio diritto alla cittadinanza italiana. I motivi addotti sono i più svariati, da “dare a mia figlia appena nata la possibilità di lavorare nell’Unione europea” a “scappare da Trump” (attenzione che a destinazione aspetta Meloni!) a “boh, così, semplicemente per avere una cittadinanza in più”. Solo in un paio di casi si tratta di persone con un legame serio e forte con l’Italia, un passato di vita vissuta nella Penisola per studiare o lavorare, competenze di lingua avanzate e, soprattutto, la genuina intenzione di esercitare responsabilità, doveri e diritti — in particolare quello di voto — nei confronti del Paese che ti riconosce un nuovo passaporto.
Ora, questi ragionamenti — “sta gente non si merita il passaporto italiano!” — starebbero bene nella bocca di una persona di destra, se non fosse che nel frattempo le persone immigrate con vita stabile in Italia rimangono fuori, escluse, maltrattate. È questo il motivo per cui lo ius sanguinis è una bestia feroce e razzista — non, di per sé, la formula all-you-can-eat concessa alle persone straniere che si svegliano una mattina in un qualche angolo del mondo riscoprendosi improvvisamente italiane. Mi sta pure bene che sia così — ma poi, cara Italia, devi abbracciare anche le persone che ti hanno scelta pur non avendo “sangue italiano”. Sennò non vale, sennò non è giusto, sennò è una delle ingiustizie più villane che si siano mai sentite.
Ecco quindi perché la “stretta sulla cittadinanza” di Tajani è un contentino, oltre che un paradosso. Dalla prospettiva che importa veramente — quella delle persone immigrate — la legge sulla cittadinanza italiana è già stretta! L’obiettivo principale in tema di cittadinanza è un allargamento; la restrizione è benvenuta se non colpisce ulteriormente le persone immigrate, ma non basta. Senza contare che anche la generazione dei nonni non è garanzia di un legame con l’Italia più stretto di quello di una persona immigrata. Conosco una donna statunitense che ha ottenuto la cittadinanza italiana grazie alla nonna emigrata negli Stati Uniti a due mesi di vita. Dài.
Nel contesto attuale, a meno di tre mesi dal referendum dell’8-9 giugno — che propone invece una modifica alla legge sulla cittadinanza nella direzione dell’allargamento — il contentino del governo ha tanto il sapore di propaganda, quel tipo di “intervento positivo” a mo’ di bonifica dell’Agro Pontino che permette a chi osserva la realtà in maniera selettiva di sostenere che il regime “ha fatto anche cose buone”.
Come ha suggerito una persona nel gruppo WhatsApp degli italiani all’estero per il sì al referendum, di cui faccio parte, un decreto legge sulla cittadinanza così vicino alla data della consultazione potrebbe essere una strategia per influenzare l’opinione pubblica: alla cittadinanza ci stiamo già pensando noi, tranquilli! Non serve andare a votare, godetevi una domenica d’inizio estate in famiglia!
Che non si tratti di congetture lo dimostra il comportamento del governo con le persone aventi diritto di voto all’estero in vista del referendum: tutt’altro che una manifestazione di democrazia e rispetto del plebiscito. Ne sto facendo esperienza in prima persona.
Secondo l’articolo 4, comma 2 della legge 459 del 27 dicembre 2001, che regola l’esercizio del voto degli italiani all’estero, la cittadina italiana regolarmente iscritta all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) può esercitare il diritto di voto di persona in Italia (e non per corrispondenza dall’estero) previa comunicazione scritta alla rappresentanza consolare della propria circoscrizione entro dieci giorni dall’indizione di un referendum (le scadenze variano a seconda del tipo di voto).
Visto che l’8-9 giugno sarò in Italia, non appena ho scoperto che il referendum si terrà in queste date ho contattato il Consolato di Chicago, a cui faccio capo, per chiedere informazioni sulla modalità di notifica dell’intenzione di votare presso il mio comune di registrazione AIRE, Bologna. Mi hanno risposto:
I giorni passano e non viene pubblicato nulla, su nessun sito di nessun consolato della rete statunitense (o altra). Il 26 marzo, nella chat degli italiani all’estero per il referendum si diffonde l’informazione (pubblicata anche sul sito della campagna per il sì) che la scadenza per la notifica dell’intenzione di voto in Italia è il 29 marzo — tre giorni dopo. Dai consolati però ancora nulla. Io mollo tutto quello che sto facendo per scaricare, compilare e inviare il modulo di notifica (disponibile qui se servisse a qualcunə) al mio consolato. Non ricevo nessuna risposta; nel frattempo imparo che il problema è a monte: la Farnesina non ha ancora diffuso nessuna circolare in materia, perciò i consolati non hanno nulla da comunicare.
Nel frattempo la scadenza del 29 marzo — che è fissata per legge, dieci giorni dall’indizione del referendum, il 19 marzo! — è arrivata e passata e nel momento in cui scrivo, il pomeriggio del 31 marzo in Italia, le reti consolari ancora tacciono. Potrà questa scadenza, se fissata per legge, essere prorogata ad hoc? Chi lo sa. Tajani, titolare della Farnesina, è impegnato a emanare decreti legge che sulla cittadinanza delle persone immigrate non si muovono di un centimetro.
[Aggiornamento dell’ultima ora: nel pomeriggio dell’1 aprile — speriamo non sia uno scherzo! — le varie reti consolari nel mondo hanno finalmente pubblicato le informazioni sul voto di chi risiede all’estero! La scadenza per comunicare l’intenzione di votare in Italia è ora fissata al 10 aprile, dieci giorni da oggi. La legge è di gomma, insomma!]
Quel che sicuramente sappiamo è che il referendum sulla cittadinanza è d’importanza vitale. Che prima ancora di raccogliere una montagna di sì al quesito2 bisogna raggiungere il quorum, affinché il risultato sia valido. Che per raggiungere il quorum bisogna che quante più persone possibili votino, che sia di persona in Italia o per corrispondenza dall’estero.
E poi sappiamo, almeno io che lo vedo con i miei occhi di italiana all’estero, che questo governo preferisce che a votare non ci si vada.
Solo una parte di noi si trova dal lato giusto della storia.
Se vivi all’estero e ti interessa mobilitare al voto altre persone italiane residenti all’estero, scrivimi in privato che ti mando un po’ di risorse!
🎙️ Sostenete il collettivo Espulse - La stampa è dei maschi
Le colleghe giornaliste
, Francesca Candioli, e Stefania Prandi, che insieme formano il collettivo Espulse. - La stampa è dei maschi, hanno lanciato una raccolta fondi per finanziare la loro prossima inchiesta sulle molestie sessuali e gli abusi di potere nel giornalismo italiano. Il lavoro di Espulse è prezioso e necessario: grazie alla loro prima inchiesta sulle molestie nelle scuole di giornalismo, l’Ordine dei giornalisti ha approvato un nuovo codice etico e di comportamento per le scuole. Se il cambiamento politico e sociale non è l’apice del giornalismo fatto bene, che cosa? Alessia, Francesca, Roberta e Stefania meritano tutto il sostegno che possiamo dare loro, economico e/o morale.Perlopiù traduzioni di atti di nascita dellə antenatə (a volte scritti con calligrafia da secolo decimo nono), ma anche telefonate ai comuni di nascita nei comodissimi orari di apertura dello sportello al pubblico dalle 14:15 alle 15:10 del secondo e quarto giovedì dei mesi che finiscono per numero dispari.
«Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?»
Ahhhh questo tema mi stritola le viscere, Enrica. La penso come te, troppi anni da iscritta all'AIRE mi hanno inviperita sul doppio standard che lo Stato italiano applica in materia di cittadinanza. Ho avuto molte discussioni sul tema, e se è vero che il diritto alla cittadinanza per consanguineità è un diritto in più e non nuoce a nessuno (qui si aprirebbe comunque il grande tema pratico del sovraffollamento + carenza di personale dei Consolati Italiani e della loro estrema lentezza, almeno a Barcellona) non riesco a ignorare l'estrema ipocrisia, discriminazione e difficoltà che grava invece sulle persone che in Italia ci vivono ma non hanno "il sangue giusto" (quanto è problematica questa visione, quanto!). Il diritto di cittadinanza non può basarsi su doppi standard di questo tipo: aspetto con ansia la possibilità di votare al prossimo referendum, è un primo piccolo passo ma noi dobbiamo dare un segnale forte e chiaro.
Ciao Enrica, grazie di cuore per aver rilanciato il crowdfunding di Espulse. Ci fa molto piacere :)
Come sempre, mi hai dato tanti spunti di riflessione diversi. Dovrebbero iscriversi tutti alla tua newsletter! Un abbraccio fortissimo.