"Domani sarà l'ultimo giorno per un bel po' che potremo respirare tranquillamente"
Lunedì 4 novembre, vigilia delle elezioni statunitensi: curiosità dalle stanze dove si contano i voti della Contea di Boulder e interviste a elettrici ed elettori
Vi avevo promesso un diario della giornata elettorale ad aspettarvi in posta o sulla app di Substack per le prime ore del mattino di mercoledì 6 novembre. E invece eccomi già qui con un po’ di storie, osservazioni e foto dalla vigilia del voto. Vi racconto la mia visita alle stanze della Contea di Boulder dove si contano i voti e riporto alcune conversazioni con elettrici ed elettori in attesa che la storia si scriva questa settimana.
Scrivo questo pezzo tra le 19 e le 21 ora del Colorado, dopo una giornata sul campo e prima di intervenire a proposito delle elezioni durante la rassegna stampa mattutina di una piccola emittente italiana, Cusano News 7, alle mie 23:30 — due ore dopo l’orario in cui normalmente mi metto a letto con un libro. Che mi siano perdonati involontari refusi, imprecisioni e ineleganze lessicali e stilistiche :-)

Per circa trecento giorni all’anno il Colorado si sveglia sotto un cielo terso e azzurro. Non stamattina, lunedì 4 novembre, vigilia delle elezioni presidenziali statunitensi dall’esito più incerto della storia recente. Boulder si è alzata con il cielo grigio, le strade bagnate e la temperatura sul termometro che a un’italiana con il classico Woolrich invernale nell’armadio segnala che è arrivato il momento dell’anno in cui, ahimè, bisogna inaugurarlo.
Col cappuccio in testa per ripararmi dalle goccioline ho percorso a piedi i due isolati — o blocchi, come si dice qui — che separano il condominio dove vivo dalla sede della divisione elettorale della Contea di Boulder, dove risiedono 326 mila dei quasi sei milioni di abitanti del Colorado. È qui, a cinque minuti a piedi dal mio appartamento, che in periodo elettorale si contano i voti di più di duecentomila elettrici ed elettori regolarmente registrati in questa contea (come forse saprete, per votare negli Stati Uniti è necessario registrarsi presso il proprio stato di residenza).
È anche qui che si trova uno dei sette ballot box della città di Boulder, dove elettrici ed elettori possono imbucare la propria scheda elettorale se invece di votare di persona — come possono fare a partire dal 21 ottobre fino al giorno delle elezioni — preferiscono farlo comodamente a casa, dopo aver ricevuto la scheda per posta. Il Colorado ha una netta preferenza per il voto per corrispondenza. Alle elezioni di medio termine del 2022, il 95% dellə aventi diritto ha scelto questa modalità.
Tutto il giorno è stato un continuo andirivieni di macchine, con due impiegati della contea a dirigere il traffico — “domani saremo almeno quattro”, mi ha detto uno di loro, un giovane uomo che quando ho abbassato il finestrino senza perdere tempo mi ha chiesto se volevo lasciare la busta nel ballot box oppure votare di persona e quindi parcheggiare.1 Perché sì, se devi solo lasciare la busta, puoi farlo direttamente dal sedile della tua macchina, un po’ come quando ordini l’hamburger al fast food.
Questa la coda alle 11 di lunedì 4 novembre, la vigilia:
Più tardi, nel pomeriggio, a supervisionare le operazioni era presente un’anziana signora, così impegnata, visto il volume del traffico, a ringraziare chi che le consegnava la busta e dare loro un adesivo con scritto “I voted” da esibire sulla giacca (pratica comune in tutti i seggi del paese), che è stato praticamente impossibile scambiarci più di tre parole alla volta.
Alle 14:30 mi sono unita a una trentina di persone, tutte americane e tutte bianche, per un tour delle stanze dove circa seicento impiegatə, alcunə assunte ad hoc per il periodo delle elezioni, tengono in funzione la macchina elettorale della Contea di Boulder. Due poliziotti con cui ho chiacchierato prima del tour mi hanno spiegato che vista la natura di ciò che avremmo visto, non avrei potuto fare foto, né prendere appunti. Non so se è stata solo una mia impressione, ma mi sono sentita lo sguardo di uno dei due addosso in diversi momenti durante il tour. E ci sta, per carità! Tra tuttə lə partecipantə, la giornalista italiana piena di curiosità e priva di diritto di voto era certamente quella da tenere più sotto controllo :-)
All’interno di due grandi stanzoni dislocati su due piani, decine di persone gestiscono le diverse fasi della vita di una scheda elettorale dopo che ha raggiunto il seggio. Vi riporto alcuni dei momenti più interessanti, ricordandovi che le procedure di voto negli Stati Uniti non variano solo da stato a stato, ma anche in misura minore da contea a contea. Ciò che vi racconto quindi vale solo per la Contea di Boulder, anche se è facile immaginare che nel resto del paese non sia poi tanto diverso.
Al piano terra, una sezione è dedicata al controllo delle firme. Chi vota per corrispondenza, infatti, è tenutə a firmare la busta che contiene la scheda elettorale come prova della propria identità (la scheda invece non contiene informazioni che consentono di risalire all’identità dellə votante). Ogni firma è rivista personalmente da due persone cosiddette giudici: una designata dal Partito Democratico e una dal Partito Repubblicano. Diverse coppie di giudici siedono di fronte a due schermi di computer, uno per ciascunə giudice, e controllano ogni firma confrontandola con le altre firme della stessa elettrice o elettore raccolte digitalmente dalla Contea di Boulder durante precedenti elezioni. Se fosse impossibile verificare la veridicità di una firma, la Contea contatta per email l’elettrice o elettore in questione affinché ripetano la procedura di voto. La Contea di Boulder ha creato anche un sistema di tracciamento che informa elettrici ed elettori per email e sms dell’avvenuta ricezione della busta.
Se pensiamo alle procedure di voto in Italia, immobili, statiche, rigidissime — e qui potremmo dirne per ore ma devo conservare energia per parlare degli Stati Uniti, tanto sapete a cosa mi riferisco — la dinamicità del sistema americano lascia davvero senza parole. Mi colpisce in particolare la possibilità di redenzione: il fatto che un errore nel voto, se colto in tempo utile, può essere risanato.
E l’email? Vogliamo parlare dell’email? Il Ministero dell’Interno non è stato neanche in grado di rispondere a una mia email (e relativo sollecito) in cui chiedevo alcuni dati sul voto delle persone italiane negli Stati Uniti! Figuriamoci cosa richiederebbe in Italia la creazione di un sistema elettorale che utilizza la posta elettronica per comunicare con chi vota.
Al secondo piano della divisione elettorale, su un grande tavolo di plastica bianca, una dozzina di impiegatə controllano le schede elettorali — a questo punto già fuori dalla busta, quindi irreversibilmente separate dall’identità dellə votante — per eventuali irregolarità nella compilazione, prima di passare al conteggio vero e proprio. Il voto non consiste in una crocetta sul simbolo di un partito e/o la scrittura del nome dellə candidatə come facciamo noi, ma nel riempire a penna un pallino bianco di fianco al nome dellə candidatə (qui un esempio).
Ho sempre avuto la fortuna di un’ottima vista, e qualche breve occhiata non intrusiva ai fogli sul tavolo mi ha permesso di notare facilmente alcuni pallini neri: tre di fianco al nome di Kamala Harris, uno per Donald Trump, una scheda bianca.
Ogni singolo aspetto delle operazioni di conteggio, compreso lo spostamento delle scatole piene di buste da una stanza all’altra e da un piano all’altro, prevede la presenza di una persona designata da entrambi i partiti principali.
Durante la mia visita, tutte le persone impiegate in questo lavoro erano bianche e in età da pensione. L’importante è garantire la diversità politica: per il resto, chi ha il tempo da dedicare alla macchina elettorale sono di solito persone già in pensione, e la popolazione del Colorado è composta per il 62% da persone bianche.
“Queste elezioni sono catastrofiche”
Dopo il tour ho chiacchierato per una mezz’oretta con Kathleen, settantunenne volontaria di un’organizzazione nonprofit apartitica che si impegna per la protezione e la corretta informazione di elettrici ed elettori. Kathleen ha molta paura delle conseguenze di queste elezioni, e per questo mi chiede di non farle una foto e di non utilizzare il suo cognome. Mi permette però di fare una foto al cartello che espone al suo fianco, seduta su una seggiolina di plastica all’entrata del seggio:
Per ripararci dalle temperature in discesa, ci sediamo per due chiacchiere nella sua macchina arancione brillante, una Subaru, che lo stereotipo sul Coloradano medio — amante di avventura, natura e spazi aperti — vuole come la marca di auto più comune in questo stato.
In queste elezioni “c’è in ballo tutto”, mi dice Kathleen, la voce grave e lo sguardo cupo. “Credo con grande passione nel valore del nostro sistema [elettorale]. Stiamo passando un periodo davvero brutto, ma il nostro sistema è capace più di tutti gli altri di offrire la libertà e il diritto di vivere la propria vita”.2
Kathleen è minuta, porta una cuffia di lana grigia, blu e viola cucita a mano, mi confessa di essere un’elettrice democratica e di identificarsi da sempre come femminista. “Questa elezione è catastrofica”, continua. “Domani sarà l'ultimo giorno per un bel po’ che potremo respirare tranquillamente. Se vince Donald Trump, sarà una catastrofe per il mondo intero. Se vince Kamala Harris, ci sarà una violenza mai vista”, sospira, riferendosi alla probabilità che Trump e i suoi sostenitori e sostenitrici non accetteranno l’esito di un voto a loro sfavore, come già accaduto nel 2020 e, in particolare, il 6 gennaio del 2021.
Ho scelto la frase di Kathleen come titolo di questo pezzo perché racchiude il mio stesso punto di vista. Una vittoria di Donald Trump sarebbe un disastro, ma una vittoria di Kamala Harris, per quanto storica, sarebbe un sorriso solo a metà: per come potrebbe reagire Trump e perché, per il momento, non è chiaro come il Partito Democratico possa offrire una visione irresistibile e un’alternativa allettante a un paese spaccato a metà, così da non ritrovarsi nella stessa situazione nel 2028.
Visto il senso di desolazione che traspare dalle parole di Kathleen, le chiedo se le rimane qualcosa in cui riporre speranza. Kathleen allontana lo sguardo, segue un lungo momento di silenzio. “Spero che le donne si facciano avanti”, risponde infine. “Spero che diranno di no a questo uomo, a questo maiale, su cui non si può dire nulla di buono. Ho passato tanto tempo a riflettere su cosa è accaduto nel 2016. E penso che non sia stata solo una questione di genere: è stato il patriarcato. Al centro di tutto c’è il fatto che gli uomini hanno paura di perdere il controllo”.
Un giro all’università
Verso le 17, mentre il sole tramonta (l’ora qui è cambiata solo questo ultimo weekend, una settimana dopo l’Italia, e ci stiamo ancora abituando al buio che cala presto), faccio un giro nel campus dell’Università del Colorado a Boulder, la sede principale dell’ateneo pubblico statale. Passo una ventina di minuti vicino al ballot box del campus; non passa un minuto senza che una studentessa o uno studente si fermi per imbucare la propria busta.
Sulla scheda di Maria, 28 anni, studentessa di un corso magistrale in scienze informatiche, il pallino è stato annerito di fianco al nome di Kamala Harris. “È molto importante che Kamala venga eletta e che l’esito del voto non sia contestato”, mi dice Maria. “Il Partito Repubblicano sta erodendo i diritti delle donne quanto più gli è possibile. Questa elezione è importante per lottare contro tutto questo”.
Marco ha 19 anni ed è uno studente del secondo anno di college. Ha votato per Kamala Harris, anche se non crede che la candidata democratica sia l’opzione migliore per una potenziale prima donna alla Casa Bianca.
“Come mai? È perché non la conosci abbastanza?”, gli chiedo.
“Sì, ecco… Ho votato più contro Trump che per Kamala”, risponde.
“È la prima volta in assoluto che voti?”, domando.
“Sì, la prima volta!” mi risponde con un sorrisone.
“Wow, e io ti visto farlo con i miei occhi!”, scherzo, pensando a quanta potenza e quanta storia c’è nel semplice gesto di far scivolare una busta in una cassetta.
L’ultima studentessa con cui parlo si chiama Eva, ha 21 anni, è all’ultimo anno del college e alla prima elezione presidenziale (ma ha già votato in altre elezioni). Non ha piacere che le faccia una foto. “Comunque vada, [questa elezione] può far del male a molte persone oppure aiutare molte persone”, dice.
Senza farle pressione, chiedo a Eva se ha voglia di dirmi per chi ha votato. Dice di no. “Ero completamente indecisa. Ho deciso solo due ore fa. Entrambi [i candidati] portano avanti punti chiave che sono molto importanti per me, per la mia vita in questo momento. Come studentessa con pochi soldi, è importante il diritto alla casa [qui sembra riferirsi alle politiche di Harris, ndr]. Ma mi importa anche l’economia [qui invece sembra riferirsi a Trump, ndr]. Non sono sicura della scelta che ho fatto, vedremo”.
Chiunque abbia un minimo di conoscenza su Boulder e dintorni vi dirà che se una giovane studentessa di CU non ti vuole dire per chi ha votato, è facile che non abbia votato per chi hanno votato tutti gli altri in questa zona del paese.
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Se avete domande e curiosità, non necessariamente per me, ma per le persone americane che posso incontrare per la strada, lasciate un commento qui sotto!
Ci risentiamo domani, giorno delle elezioni.
Nessuno dei due, ovviamente: non ho il diritto di voto!
Tutte le traduzioni dall’inglese sono della sottoscritta.