Cosa significa allargare lo sguardo dopo la rielezione di Trump
La supremazia bianca, di nuovo. Ma raddoppiare la distanza dall'elettorato di Trump a lungo termine può danneggiare ancora di più le comunità marginalizzate
Questo articolo è lungo, ma se decidi di rimanere con me fino alla fine, ti prometto che troverai spunti originali e prospettive nuove su cui riflettere, perché influenzate da interviste che ho fatto personalmente con elettrici ed elettori di entrambi i partiti qui negli Stati Uniti, sul campo. Sono prospettive difficili da trovare altrove sulla stampa italiana. Ovviamente non lo pretendo e capisco se non ne avrai il tempo!
Se vuoi saltare il preambolo in cui condivido un paio di contenuti da me scritti/prodotti, dai una scrollata di mouse. Non mi offendo! 😊

Sono nove giorni di fila che lavoro ininterrottamente alle elezioni statunitensi appena concluse. A un certo punto dovrò prendermi un giornata di recupero, ma per ora l’entusiasmo di poter scrivere e fare quello che mi piace fare supera e lenisce la stanchezza.
Questo weekend ho avuto il piacere e l’onore di scrivere un articolo per Rivista Studio sullo spostamento a destra degli elettori maschi tra i 18 e i 29 anni, parte della cosiddetta Gen Z, che hanno votato in massa per Donald Trump:

Entro fine settimana Elide Pantoli e io dovremmo uscire con il quarto episodio di Americanate. Tema: costo della vita negli Stati Uniti, di cui avrete sentito parlare molto come pertinente alle elezioni. Nel frattempo questo è l’episodio di commento alle elezioni, uscito il giorno successivo:
Passiamo al dunque, ovvero ad approfondire un tema che ho già toccato sia nell’ultima edizione della newsletter sia nell’articolo per Rivista Studio: l’idea che le elezioni statunitensi di quest’anno si siano giocate sull’ascolto, in assenza del quale il Partito Democratico non è riuscito a formulare una visione che andasse oltre la sconfitta di Donald Trump e abbracciasse tutta la popolazione, invece di alienarne una parte (il cui voto in massa si è rivelato essere decisivo).
Scelgo questo come tema centrale delle mie argomentazioni perché mi sembra che sia il minimo comune denominatore a tutto il resto. Una visione che abbracci tutta la popolazione — anche quella che fa e dice cose che non ci piacciono — può sia rispondere alle singole istanze che singolə elettrici ed elettori hanno citato come motivo della loro preferenza (economia, immigrazione, perdita di fiducia nella classe politica, politica dell’identità, ecc.), sia curare le piaghe della società che sicuramente raddoppieranno in intensità con Donald Trump alla Casa Bianca (supremazia bianca, misogina, razzismo, xenofobia, ecc.) in una maniera che risuoni come vera e valida non solo a chi siede dalla parte sinistra del tavolo.
Tuttavia, sono ben consapevole che in questa fase tutte le persone si credono ambasciatrici dell’unica verità che spieghi la rielezione di Donald Trump, quando in realtà c’è davvero un po’ di tutto: tutto cospira, tutto contribuisce, ed è ancora troppo presto per la coesione e la coerenza del senno di poi.
Che persone diverse si appassionino a letture diverse di queste elezioni non impedisce il raggiungimento del senno di poi, ma offre a ciascunə di noi la motivazione per impegnarci individualmente rispetto alla lettura che sentiamo più nostra. Se credete in maniera molto forte alla spiegazione economica, beh, magari potete impegnarvi su quel fronte: cosa si può fare in Italia (perché il ritorno di Trump riguarda anche noi, che al governo abbiamo un’omologa) per comunicare con la classe lavoratrice in una maniera “di sinistra” che tenga in considerazione i loro desideri?
Io mi voglio impegnare sul fronte che illustrerò in questo pezzo, contenuto nella domanda con cui ho concluso l’articolo di Rivista Studio:
L’esito di queste elezioni ci ha lasciato ai piedi di un’enorme montagna da scalare: come possiamo, da sinistra, ascoltare, includere e lavorare anche per:
a) chi non sembra essere dalla nostra parte, politica e sociale e
b) segmenti della popolazione non storicamente marginalizzati, almeno da un punto di vista razziale e di genere (leggi: uomini bianchi),
senza nulla togliere all’impegno per le comunità storicamente marginalizzate (donne, persone nere, persone immigrate, comunità Lgbtq+ ecc.)?
Per chi si identifica nel progressismo di sinistra e ha votato (se americanə) o avrebbe votato (perché l’urgenza di queste domande supera i confini degli Stati Uniti) per Kamala Harris, esistono due possibili risposte al ritorno al potere di un certo uomo bianco. La prima, preponderante nella bolla social della quale faccio parte e diffusa anche nel progressismo italiano:
Liquidare coloro che hanno votato per lui come un blocco di razzistə, sessistə, misoginə e omofobə senza riguardo alcuno per la salute della democrazia, il corso della giustizia (Trump è un criminale condannato) e la salvezza di chi non è uomo bianco eterocis;
Secondo i dati sugli exit poll della NBC, parliamo di: - 55% degli uomini americani e 45% delle donne - 57% delle persone bianche e 33% di quelle nere - 46% delle persone ispaniche (generalmente immigrate o figlie di immigratə dall'America Latina) - 43% delle persone under 30 - 46% delle persone che guadagnano meno di $30.000 all’anno e vivono sotto la soglia di povertà
Tagliare qualsiasi canale di comunicazione con queste fasce della popolazione, come se gli Stati Uniti non fossero già abbastanza polarizzati e segregati politicamente;
Rifiutarsi di sottoporsi a esami di coscienza, perché i repubblicani quando ha vinto Joe Biden nel 2020 non si sono fatti esami di coscienza, anzi, hanno provocato un’insurrezione.
Oppure, rendersi conto che:
Se dall’altra parte non si fanno riflessioni, non vuol dire che non possiamo farle noi, anzi, è una scelta virtuosa. A loro ci penseranno loro! Noi pensiamo a noi;
Mettersi in posizione di ascolto non significa condonare1;
Abbiamo tuttə diritto alla ricerca della felicità. Negli Stati Uniti è un concetto fondante, scolpito nella Dichiarazione di Indipendenza, ma direi proprio che si applica anche all’Italia (e al resto del mondo).
E di conseguenza:
Ripartire da queste elezioni ascoltando anche (non “solo”) queste fasce della popolazione, per capire come possiamo comunicare meglio anche (non “solo”) con loro;
Migliorare il nostro messaggio intorno a certi concetti che evidentemente non sono chiari, oppure non sono espressi in maniera pertinente;
Esempio: il marito di una zia del mio ragazzo (lo chiamerò Zio B.) è nato, cresciuto e vive in una fattoria dell’Alabama, stato del sud profondamente conservatore. Se apro Facebook è solo per vedere le stronzate reazionarie che posta. Robe illeggibili, cattive, false. Il villaggio dove vive Zio B. è al 100% abitato da persone bianche. Cento per cento. In quanto persona bianca, Zio B. beneficia delle strutture razziste della società (come me), però niente attorno a lui lo invita a riflettere su questo concetto. Non solo vive in uno stato del sud che era a favore della segregazione, ma Zio B. non vede persone nere intorno a lui e non sa cosa farsene degli strumenti intellettuali che a sinistra stiamo costruendo per smantellare le strutture razziste della società. Non basta guardare Zio B. negli occhi e dirgli: Zio B., non essere razzista. Non basta neanche dire: Zio B., non devi essere razzista perché fa male a certe persone (esempi delle quali non esistono intorno a Zio B.). Bisognerebbe dirgli: Zio B., non devi essere razzista perché non essere razzista fa bene anche a te.
La pertinenza è un concetto fondamentale. Dobbiamo rendere il nostro messaggio più pertinente a certe fasce della popolazione. Hanno votato in maniera individualistica, pensando alle loro tasche senza riguardo per le minoranze sociali che più soffriranno con Trump al governo? Bene, incontriamoli nell’individualismo: facciamo loro capire cosa hanno da guadagnare da una società più giusta.
Come capire cosa è pertinente al cuore di queste persone? Chiedendoglielo. Ascoltandole.
Includere tuttə, aprire porte invece di chiuderle, ed essere dispostə a farlo anche a nome di chi non può farlo (anche se magari vorrebbe) perché vittima dell’intersezione di una molteplicità di condizioni svantaggiate: dove il colore della pelle si interseca con la povertà e la disabilità ecc. è dove incontriamo chi più soffrirà con Trump alla Casa Bianca.2
Questa è la strada che io, personalmente, ho scelto per rispondere alla rabbia e allo sgomento per l’ennesima vittoria di un uomo bianco su una donna nera. In realtà l’avevo già scelta con il progetto nato dal viaggio che ho compiuto in giro per l’Italia parlando della parità di genere con persone che, ai miei occhi di femminista, non sembrano avere consapevolezza su questo tema; ora, dopo la rivincita di Trump, sento la validità di questo metodo in maniera ancora più forte. Ma questo metodo è il mio e funziona per me. Non posso costringere nessuno a seguirmi, e sono disposta a percorrere questa strada anche a nome di chi, comprensibilmente, non se la sente perché la ferita è larga e profonda.
L’unico metodo che non credo funzionerà, anzi, rischia di danneggiare ancora di più le comunità già storicamente marginalizzate, è sbattere collettivamente la porta in faccia a chi non la pensa come noi.
Rimanete con me fino alla fine del ragionamento per capire perché la penso così.
Prima riflessione: Ci stiamo dimenticando dell’intersezionalità e, in modo particolare, del concetto di classe.
Da un punto di vista meramente sociale — di interazione tra membri della comunità — la razza gioca un ruolo fondamentale prima ancora della classe. Il razzismo non guarda al portafoglio. Non importa quanti soldi hai: se hai la pelle bianca in un mondo creato da e per chi ha la pelle bianca, non subirai mai l’umiliazione, la sottrazione di dignità, l’annientamento del rispetto che subisce chi ha la pelle nera solo per avere la pelle nera, anche se ha più soldi di te. Punto.
Da un punto di vista economico, però — e l’economia è stato il tema più caldo e decisivo di queste elezioni — può accadere che una persona nera sia più privilegiata di una persona bianca. Negli Stati Uniti, è probabile che una famiglia di persone nere in possesso di laurea, che vive in un sobborgo residenziale di uno stato democratico e svolge un lavoro d’ufficio stia meglio, economicamente, di una famiglia di persone bianche senza laurea, che vive di lavoro agricolo o di fabbrica in una zona rurale di uno stato repubblicano.
La famiglia nera soffre perché il sistema è razzista. La famiglia bianca soffre perché è povera. Sono due tipi diversi di sofferenza, e non bisogna fare a gara a cosa è peggio (o almeno così mi sembra — sono disposta ad accogliere punti di vista diversi che possano arricchire il mio laddove sia miope): bisogna intersecare e saper cogliere le sfumature per formulare un messaggio che ne tenga conto e non le annulli. Quel che è certo è che tante famiglie bianche povere nelle zone rurali degli Stati Uniti stanno pensando: “Siamo stanche di sentirci dare dell’oppressore: le nostre tasche sono vuote e non arriviamo a fine mese”.
Possiamo non essere d’accordo da un punto di vista intellettuale, ma è un fatto, è una cosa che sta accadendo, è una realtà che ha determinato la rielezione di Donald Trump, e non possiamo permetterci di ignorarla. E non ignorarla non significa voltare le spalle a chi è marginalizzato a causa della sua identità.
È qui che si è verificato il corto circuito di comunicazione del Partito Democratico. Cito Tanner Egloff, uno dei giovani uomini repubblicani che ho intervistato per l’articolo di Rivista Studio: “I democratici passano il loro tempo a incasellare le persone in categorie, dimenticandosi che le persone sono persone, che tutti desideriamo le stesse cose e soffriamo a causa dei prezzi della spesa e della benzina”.
Fa ridere che lo dica io, figlia di democristiani istruiti cresciuta nel benessere e che nel benessere rimarrà anche senza lotta di classe, ma: dobbiamo restituire centralità alla lotta di classe come essenziale a tutto il resto. E dobbiamo smetterla di abusare della parola “privilegio”, riscoprendone le necessarie sfumature e finendola, una volta per tutte, di evocare questo concetto a mo’ di incantesimo per rifiutarci di esplorare la profondità del cuore e le istanze di individuə diversə da noi.
si esprime già da tempo, in maniera lucida e autorevole, su questo argomento.Poco prima di andare in stampa, senza tempo per ulteriori analisi, mi è capitato di fronte agli occhi questo grafico, che mostra che lo spostamento più notevole verso Trump è avvenuto nell’elettorato nero e ispanico (uomini e donne) e non in quello bianco:

A caldo mi viene da dire che per spiegare questi dati, bisogna considerare livello di istruzione e classe sociale (che si influenzano a vicenda), e non l’identità, come fattori essenziali in gioco. Ma ne parleremo meglio nella prossima edizione della newsletter.
Seconda riflessione: Il privilegio è permettersi di ascoltare persone che votano per Donald Trump (o Giorgia Meloni), oppure… permettersi di non farlo?
Da che metà degli Stati Uniti ha deciso di riportare Trump alla Casa Bianca, su internet hanno ripreso a circolare meme e post di influencer come questo, che contestano l’idea che si possa portare avanti un’amicizia con chi ha un orientamento politico diverso dal proprio. Un esempio, giusto, è che una persona trans non deve sentirsi in dovere di mantenere rapporti con chi ha votato un partito che non ha a cuore i suoi diritti. Come argomenta il post che ho linkato: “Questa mentalità è creata da e per una categoria specifica di persone bianche che non ha nulla da perdere permettendo passivamente una politica di oppressione”.
È un’argomentazione valida e comprensibile a livello individuale, ma ha un limite sul piano collettivo. Se un singolo individuo, specie se appartenente a un gruppo sociale oppresso, non deve assolutamente sentirsi in dovere di entrare in contatto con chi vota a favore di politiche restrittive dei suoi diritti, come collettività invece non possiamo proprio permetterci di chiuderci la porta in faccia.
La prova è proprio la rielezione di Donald Trump, che su questo concetto astratto (insieme a tanti temi concreti) si è giocata. La sequenza di eventi è stata più o meno la seguente:
Abbiamo deciso, come collettività di sinistra, che certe persone non si meritano il nostro ascolto perché prendono decisioni politiche che danneggiano certi gruppi sociali (se chiedi a queste persone, in realtà, ti diranno che la priorità sono state le tasche vuote);
A chi da sinistra ha provato a suggerire che forse non era il caso di ripudiare tout court, è stata sequestrata la patente di progressismo;
Alle elezioni presidenziali statunitensi del 2024, le persone a cui abbiamo tolto ascolto (a volte anche solo per paura che qualcuno ci sequestrasse la patente di progressismo!) hanno determinato la rielezione di Donald Trump;
Ora, dovremo impegnarci il doppio per garantire la libertà e i diritti dei gruppi sociali marginalizzati, come se non fosse già abbastanza difficile.
Se già il Partito Democratico statunitense si stava spostando verso il centro per stuzzicare l’appetito dell’elettorato indeciso, il rischio di un ripiegamento conservatore nelle file progressiste è ora aumentato drasticamente.3 È una doppia sconfitta che richiede energie doppie per recuperare.
Siamo ancora così sicurə che non parlarci e non ascoltarci, da un punto di vista della collettività (il livello individuale, ripeto, è diverso: il principio di autodeterminazione non può essere violato), sia di aiuto alle comunità marginalizzate e oppresse? A me sembra proprio il contrario. Mi sembra che il vero privilegio sia distanziarsi, dimenticarci, disdegnarci a vicenda, perché tanto non siamo noi, persone istruite a cui è data la possibilità di formulare teorie dell’oppressione sociale e come combatterla, che alla fine ne pagheremo le conseguenze più care.
Concludo dicendo che conosco benissimo il senso di frustrazione e indignazione che si prova quando un maschio bianco ti viene a dire che ora è lui quello discriminato, o a spiegarti che lui non ha mai stuprato e quindi e allora, o a rifiutarsi per principio di mettersi nei tuoi panni. Oppure una femmina bianca che ti dice che esageri col femminismo. Perdio, della lotta per il riconoscimento della libertà, dei diritti e della dignità delle donne e delle comunità marginalizzate ho fatto uno degli obiettivi della mia vita e della mia carriera (mettendomi anche in viaggio)! È una fatica incalcolabile, e sono davvero stanca di vedere che il mondo non fa nulla per risparmiarcela.
Ma sono anche stanca di sentire la necessità di fare tutte queste precisazioni pur sapendo bene dove si trova il mio cuore (e sperando che lo sappiate anche voi) — perché ho paura di essere cancellata, ostracizzata dal gruppo, ecc. — quando dalla posizione in cui mi trovo qui negli Stati Uniti, parlando, vedendo, ascoltando, mi sento di suggerire un approccio diverso dal disprezzo per chi non la pensa come noi. Copio e incollo la conclusione dell’edizione precedente di questa newsletter, perché vale oggi come la settimana scorsa:
Condanniamo e lottiamo sempre contro la violenza, il razzismo, la xenofobia, la misoginia, il sessismo, l’esclusione e le ingiustizie di tutti i tipi. Ma condannare e lottare contro l’umanità di chi non la pensa come noi non solo è controproducente: è una sconfitta.
Se mi stai ancora leggendo, ti ringrazio e sono onorata che tu mi abbia fatto compagnia fino a qui 😊
Corollario: Non ripudiare le persone che hanno votato per Trump non significa che non possiamo ripudiare Trump, anzi, vi prego continuiamo a ripudiarlo: tutto ciò che dico sull’ascolto riguarda le persone, la popolazione, non Trump stesso, né il partito che ha rivoluzionato a sua immagine e somiglianza.
Vale anche il principio de “le comunità oppresse non sono responsabili dell’educazione dell’oppressore”. Se poi una persona appartenente a queste comunità vuole farlo, ha il diritto ad autodeterminarsi.
Questo è un tema molto interessante, perché il Partito Democratico deve anche vedersela con forze interne che spingono per spostarsi più a sinistra, ad esempio sulla questione Israele-Gaza (e mi trovano d’accordo). La tensione tra discontento interno (ti stai spostando a destra!) ed esterno (rappresenti l’élite snobista di sinistra!) è fortissima e non sarà facile trovare un equilibrio per formulare la famosa visione. Sarebbe tutto molto più semplice se gli Stati Uniti avessero un sistema parlamentare multi-partitico alla europea, ma ahimè non è così. Ciascuno dei due partiti dominanti americani deve inglobare facce diverse di uno stesso orientamento generale.
Grazie per il tuo lavoro, è un punto di vista di grandissimo valore.