Se succedesse in un Paese non occidentale
È evidente che agli Stati Uniti servirebbe un cambio di regime (o di come parleremmo di quanto accade oltreoceano se gli Stati Uniti non fossero il Paese che sono)
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Dopo una breve pausa, riprende oggi la cadenza settimanale della newsletter, ancora dall’Italia finché non rientro negli Stati Uniti a metà luglio. L’articolo di oggi è una SATIRA, genere che illustra bene i doppi standard, le contraddizioni e gli sconti che facciamo a un Paese come gli Stati Uniti (soprattutto durante l’era Trump) solo perché appartiene alla categoria “democrazia (ehm) occidentale”.

Destano grandi preoccupazioni le ultime notizie provenienti dagli Stati Uniti, ex colonia britannica a sud del Canada e a nord del Messico.
Giugno è stato un mese di particolare violenza politica, interna e verso l’estero, fomentata da una cultura militaristica e dal comportamento erratico e le decisioni imprevedibili del presidente in carica, Donald Trump. Quest’ultimo è un magnate del mercato immobiliare già accusato di molestie sessuali, indagato per aver incitato un golpe al fine di sovvertire l’esito democratico dell’elezione che lo aveva deposto dal primo mandato, condannato penalmente per falso in bilancio e fondi occulti, e nonostante tutto rieletto a un secondo mandato non consecutivo. Per quanto sui libri di storia e geografia gli Stati Uniti siano ancora classificati come una democrazia, alla guida del Presidente Trump l’ex colonia britannica sembra inesorabilmente avviata verso la trasformazione in autocrazia oligarchica.
Il dissenso espresso da moti popolari di rivolta alle politiche del presidente viene sistematicamente represso con l’intervento delle forze armate, come è successo a Los Angeles, megalopoli della California, uno Stato situato sulla costa occidentale del Paese. Qui, ai primi di giugno, gruppi di cittadini hanno protestato e ostacolato le operazioni dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), agenzia federale preposta al controllo dell’immigrazione. ICE è attualmente impegnata nella deportazione di persone immigrate o residenti negli Stati Uniti senza regolari documenti, a compimento di una delle promesse centrali della campagna di rielezione di Donald Trump.
ICE sta chiaramente abusando di questo mandato: invece di concentrarsi su criminali irregolari, i blitz armati degli agenti di ICE sconvolgono intere comunità e separando centinaia famiglie che, seppur prive di regolari documenti di soggiorno, sono a tutti gli effetti membri pacifici, onesti e produttivi della società americana.1 Queste persone contribuiscono alla crescita economica degli Stati Uniti con il proprio duro lavoro (spesso si tratta di attività manuali ripudiate dalla cittadinanza statunitense), pagano tasse, partoriscono e crescono prole che grazie allo ius soli si qualifica come cittadina degli Stati Uniti sin dalla nascita.2
Per sopprimere il dissenso nei confronti delle violazioni dei diritti umani della popolazione migrante, il Presidente Trump ha inviato a Los Angeles quattromila soldati della Guardia Nazionale, calpestando la volontà dell’autorità governativa locale e contribuendo all’intensificarsi degli scontri tra dissidenti e forze armate.
Il costo di questa operazione militare è stimato intorno ai 134 milioni di dollari. D’altra parte, come tipico dei regimi autocratici di stampo militare, gli Stati Uniti riservano una grossa fetta della spesa pubblica per la Difesa. Per quanto il regime Trump, in linea con l’impronta autocratica, stia esasperando la militarizzazione degli Stati Uniti — per il suo compleanno, il 14 giugno scorso, il presidente ha ordinato che gli fosse dedicata una parata militare nella capitale del Paese, Washington, D.C.; lo stesso giorno migliaia di dissidenti sono scesi in strada a protestare il governo mentre, nell’ennesima espressione del disordine in cui versa la nazione, una deputata del Minnesota (uno Stato al confine con il Canada), veniva assassinata insieme al marito —, il culto delle forze armate è un carattere culturale distintivo dell’ex colonia britannica, a prescindere dalle coloriture politiche. È comune, per i leader politici statunitensi, invocare le forze armate alla fine di ogni discorso alla nazione, poiché sarebbe grazie alle forze armate che la nazione può godere di una presunta libertà.
Non è chiaro tuttavia di che libertà si tratti, poiché gli Stati Uniti sono un Paese ancora in via di sviluppo in materia dei più basilari diritti umani. Virtualmente assente, ad esempio, la spesa pubblica per garantire l’accesso universale alle cure sanitarie. La sanità è appannaggio quasi esclusivo delle fasce più abbienti della popolazione; è frequente che chi non ha denaro per curarsi scelga di non farlo. Inoltre, la società statunitense versa in una grave condizione di disuguaglianza economica. Il divario di ricchezza è tra i più abissali al mondo: i dati federali più recenti stimano che il 50% delle famiglie americane possiede appena il 3% della ricchezza nazionale, mentre nelle mani del 10% si concentra uno spropositato 69% di ricchezza.
Eppure, proprio questa settimana al Senato degli Stati Uniti è in corso di approvazione una proposta di legge per diminuire le tasse. A beneficiarne saranno individui abbienti e grandi aziende con il pretesto, legittimato da influenti correnti di pensiero accademico, che alla fine il mercato garantirà l’allocazione delle risorse migliore possibile per il benessere del popolo. Per compensare la perdita di gettito fiscale, il governo Trump ha previsto tagli e restrizioni a diversi programmi di welfare federale, tra cui quello che facilita l’accesso alle cure sanitarie di persone anziane e famiglie a basso reddito.
Sul fronte internazionale, nel mese di giugno gli Stati Uniti sono stati al centro del dibattito sulla necessità di contenere la minaccia nucleare dei governi autocratici. Incute timore, infatti, che un leader volubile e capriccioso come Donald Trump disponga dell’arsenale nucleare in possesso degli Stati Uniti. Vi è un precedente nell’utilizzo delle armi nucleari da parte di questo Paese, ed è l’unico nella storia.3 Per distrarre l’opinione pubblica dal pericolo che lui stesso rappresenta nel suo Paese e nel mondo, il 21 giugno il Presidente Trump ha ordinato il bombardamento dei siti nucleari di un altro regime autocratico, l’Iran. L’intervento militare è avvenuto a sostegno dell’alleato Israele, e si aggiunge al supporto incondizionato, morale e militare, che gli Stati Uniti hanno offerto al governo israeliano nell’esecuzione del genocidio palestinese.
Per giustificare la connivenza, il Presidente Trump e diversi esponenti della classe politica statunitense, a destra e a sinistra, hanno adottato una complessa operazione di manipolazione psicologica, che prevede l’utilizzo di infondate accuse di antisemitismo ogniqualvolta venga espresso dissenso nei confronti della condotta di Israele.
In queste condizioni, è evidente che agli Stati Uniti servirebbe un cambio di regime. Il popolo americano non sembra esserne cosciente, ma il Paese ha un disperato bisogno di un intervento internazionale per esportare la democrazia anche in questo lato così sfortunato del mondo (certo, rimane da capire se anche questo tipo di importazione sarebbe soggetta ai dazi salati previsti dalla politica commerciale di Trump!). Nella lista di Paesi che potrebbero salvare gli Stati Uniti dalla china autocratica non sembrano comunque figurare gli Stati membri dell’Unione europea, paralizzati dall’inettitudine di fronte alla minaccia proveniente da oltreoceano, e i cui governi sono stati considerevolmente indeboliti dall’emergere di forze reazionarie di estrema destra.
Perché un cambio di regime possa avere luogo in maniera sostenibile e duratura, in ogni caso, è necessario innanzitutto che il popolo americano acquisisca consapevolezza delle gravi violazioni e manipolazioni dei diritti umani e civili di cui è vittima, e del pericolo che il loro Paese rappresenta per se stesso e il mondo intero. Creare una consapevolezza di questo tipo non sarà facile, non solo tra chi sostiene apertamente il regime Trump, ma anche tra i dissidenti. Trump infatti rappresenta la deriva di una particolare postura culturale nazionalista diffusa negli Stati Uniti sin dagli albori dello Stato, e accentuatasi dopo la fine del secondo conflitto mondiale.
Conosciuta come “eccezionalismo americano” e non dissimile dall’indottrinamento di una dittatura militare come la Corea del Nord, questa postura culturale è caratterizzata dalla convinzione che gli Stati Uniti siano un Paese qualitativamente e moralmente superiore a tutti gli altri, a cui Dio avrebbe affidato la missione divina di essere guida e faro per il resto del mondo.
Da questa forma di fanatismo derivano una serie di fenomeni distintivi della società americana: ad esempio, i bambini sono costretti a recitare un giuramento di fedeltà alla patria ogni mattina prima di iniziare la scuola; gli eventi sportivi sono preceduti dal canto dell’inno nazionale, spesso accompagnato da uno spiegamento di forze armate e colpi di cannone sul campo da gioco; il concetto di “libertà” come fibra della nazione viene ossessivamente ripetuto per mascherare le reali condizioni di vita del popolo americano.
Si capisce come queste premesse culturali abbiano favorito l’emergere di un fenomeno politico come il Presidente Donald Trump.
Se queste valutazioni sembrano esagerate o allarmistiche (d’altra parte, è difficile riconoscere i contorni di un problema finché è in divenire), la versione dell’inglese parlata negli Stati Uniti offre un’espressione che ben le giustifica: they asked for it. Se la sono andata a cercare.
Gli Stati Uniti rivendicano il demotico “americano” e il toponimo “America” come sinonimo, nonostante le Americhe comprendano 35 Paesi sovrani tra nord, centro, sud e isole.
È per questo, infatti, che il Presidente Trump intende modificare la legge costituzionale, per impedire alla prole di madre non cittadina o residente permanente di ottenere la cittadinanza statunitense alla nascita (a meno che il padre non sia cittadino o residente permanente), eliminando a tutti gli effetti lo ius soli in vigore dal 1868. L’obiettivo di Trump si inserisce in un trend comune a tanti Paesi ancora in via di sviluppo. Ne è un esempio l’Italia, nazione del Sud Europa la cui Presidente del Consiglio e il suo partito di estrema destra portano avanti le istanze di una fetta della popolazione contraria all’integrazione delle persone immigrate, oneste e lavoratrici, e della loro prole nata, cresciuta e istruita in Italia.
Nell’agosto del 1945, gli Stati Uniti hanno sganciato una bomba atomica di quasi cinque tonnellate sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, uccidendo duecentomila civili (quattro anni prima, il Giappone aveva causato la morte di duemila militari statunitensi attaccando una base navale nell’Oceano Pacifico).
Satira certamente, ma anche molto, molto realismo
Ma non hai detto che era satirico? 😉