L’insostenibile assenza delle donne nella prova di italiano della maturità
In vista dell'edizione 2024 dell'esame di maturità, vi propongo questo pezzo che ho pubblicato su Medium nel 2023
Il paradigma che la scuola ci propone in fase di maturità è sempre lo stesso, quello che onora ed esalta quasi esclusivamente i volti, le voci e le opere di maschi bianchi eterosessuali
Ciao a tuttə e benvenutə allə nuovə iscrittə! Io sono Enrica Nicoli Aldini e questa è Anche una donna qui, una newsletter di riflessione sulla mancanza di una coscienza collettiva sui valori della giustizia sociale in Italia, in particolare nel dominio della parità di genere e del rispetto, della dignità e della libertà della donna.
L’ultimo post sul maschile sovraesteso ha portato un discreto numero di nuovə iscrittə. Mi ha fatto molto piacere che sia piaciuto e abbia generato più interazioni del solito! Non credo sia un caso, perché in quelle righe mi sono espressa all’intersezione degli argomenti che mi stanno più a cuore e conosco meglio: la lingua, il destino delle donne in Italia, il ruolo della prima nel compimento del secondo. Inoltre, cosa non da poco, lo scritto è leggibile in poco più di cinque minuti. Prendo nota :-) Se ve lo siete persə, lo trovate qui:
Da allora sono passate tre settimane, il che mi obbliga a ribadire che per il momento, Anche una donna qui non ha previsto una cadenza regolare e prevedibile di pubblicazione. Mi trovo in un momento di transizione verso una carriera di scrittura a tempo pieno e, come viene brillantemente spiegato qui, la scrittura è una questione di scelte. Ogni settimana mi trovo a negoziare queste scelte. Un post su Substack normalmente richiede almeno una giornata intera di lavoro, tempo che devo barattare con la scrittura di un libro su questa inchiesta (alla faccia della superstizione che dovrei avere parlando di tenendomi per me un obiettivo così difficile e delicato). Mi piacerebbe tanto pubblicare con certezza ogni settimana o due, ma non sono ancora arrivata a quel punto.
Me ne rammarico, ma preferisco essere onesta e trasparente per creare fiducia in chi mi legge. La paura più grande, infatti, è quella di perdervi per la strada se non pubblico più frequentemente. Spero che invece rimaniate con me, e mi impegno a garantirvi qualità laddove non posso garantire quantità.
Mercoledì 19 giugno inizia l’esame di maturità per mezzo milione di studentə italianə. In vista di questo appuntamento voglio proporvi un’analisi che ho pubblicato su Medium in occasione della maturità dell’anno scorso.
Si parla della quasi totale assenza di donne tra lə autorə delle tracce della prova di italiano: di quanto è grave, di cosa ci rivela di come la scuola italiana assolve il proprio compito educativo, di come dovremmo iniziare a studiare i motivi per cui le donne sono quasi completamente assenti dai programmi scolastici.
Chissà se il 2024 marcherà un’inversione del trend, proponendo qualche donna in più nelle tracce della prova di italiano. Lo spero ma non ci conto, perché dubito che nel frattempo sia avvenuta una presa di coscienza. D’altronde, i programmi scolastici di oggi sono esattamente gli stessi di un anno (per non dire un secolo) fa.
Il pezzo è riportato esattamente come è apparso su Medium. Lo scrivessi oggi, sarebbe più snello, ma un anno fa mi è uscito lunghetto! Ho aggiunto quindi un po’ di grassetto postumo per segnalare i passaggi che mi premono di più.
Buona lettura. Se l’argomento vi interessa, sarei felice di continuare la discussione nei commenti!
L’insostenibile assenza delle donne nella prova di italiano della maturità
Originalmente apparso su Medium il 23 giugno 2023
Ogni anno, a metà giugno, tra studenti, insegnanti e giornalisti si ripete il rito collettivo del toto-tracce, per prevedere gli autori e i temi che usciranno alla prova di italiano dell’esame di maturità. C’è anche chi, come me, la maturità l’ha fatta quindici anni fa (la prima volta; negli anni a seguire, in sogno, l’ho ripetuta molte altre volte, accorgendomi il giorno stesso che non avevo studiato nulla), ma attende comunque l’arrivo della prima prova per giocare al toto-donna. Il toto-donna è una branca del toto-traccia che consiste nello scommettere sulla risposta a due semplici domande: tra i testi selezionati dal Ministero dell’Istruzione (e ora anche del Merito), quanti saranno scritti da donne? Sarà forse questo l’anno in cui finalmente sentiremo la classica frase “alla maturità è uscito…” declinata al femminile?
Se il toto-tracce classico è un esercizio spesso vano, il toto-donna è invece di facile previsione: no, nessuna autrice verrà scelta per l’analisi del testo. Pochissimi nomi di donne, forse nessuno, figureranno tra gli autori dei documenti che accompagnano i vari temi proposti.
L’edizione 2023 dell’Esame di Stato non ha deluso queste aspettative. Solo un nome femminile compare tra le tracce dei temi di italiano, quello di Oriana Fallaci. Con Fallaci — sul cui testo ritornerò più avanti — sale a ventitré il numero di donne selezionate dal Ministero dell’Istruzione nelle prime prove degli ultimi quindici anni.
Vediamone la lista completa, dal 2023 risalendo al 2008 (tutte le prove sono consultabili sul sito del Ministero):
2023: Oriana Fallaci (1)
2022: Liliana Segre, citata con Gherardo Colombo, dalla cui intervista con Segre è tratto il brano; Vera Gheno, citata con il co-autore Bruno Mastroianni (2)
2021: maturità senza prove scritte a causa della pandemia
2020: maturità senza prove scritte a causa della pandemia
2019: nessuna donna (0)
2018: nessuna donna (0)
2017: Federica Meta, Stefania Medetti, Fabiana Bertazzi (3)
2016: Giulia Nunziante, Enrica Battifoglia, Patrizia Gabrielli (3)
2015: Martha Nussbaum, Malala Yousafzai, Christina Lamb (3)
2014: Grazia Deledda, Anna Cossetta (citata con il co-autore Marco Aime), Hannah Arendt, Dianora Bardi (4)
2013: nessuna donna (0)
2012: Giovanna Favro, Margherita Hack intervistata da Alessandra Carletti, Hannah Arendt (4)
2011: Adele Sarno, Silvia Maglioni (2)
2010: nessuna donna (0)
2009: nessuna donna (0)
2008: Elsa Morante (1)1
Se ventitré donne non sembrano poi così male, ricordiamo che quindici anni di prime prove sono la somma di centinaia di fonti citate nelle tracce, tra testi letterari in prosa e poesia, opere artistiche, saggi e articoli di giornale. Nel mio 2008, la traccia conteneva trentaquattro fonti: in quindici anni di esame di maturità, il numero di donne comparse tra le fonti è inferiore al numero complessivo delle fonti di un solo anno d’esame. Ricordiamo inoltre che in cinque di questi anni — 2009, 2010, 2013, 2018, 2019 — il Ministero non ha proposto neanche una donna tra le fonti. Infine, ricordiamo che a nessuna delle autrici sono stati dati il beneficio, la visibilità e l’onore di un’analisi del testo letterario — la traccia tra tutte più classica, quella dell’“alla maturità è uscito…” — non solo negli ultimi quindici anni, ma nel secolo intero che è trascorso dal 1923, anno d’introduzione della maturità. Tra i nomi più conosciuti, solo Oriana Fallaci quest’anno, Liliana Segre (2022), Grazia Deledda (2014) ed Elsa Morante (2008) hanno ricevuto un modesto rilievo. Le autrici meno conosciute, perlopiù giornaliste e studiose, ma anche nomi di peso come Hannah Arendt e Margherita Hack, sono state più spesso relegate alle tracce minori, quelle che non fanno notizia se non a livello di argomento generale.
Perché interessarsi di questo fenomeno, e addirittura farne un problema? Perché la quasi totale assenza di donne nelle tracce della maturità è un segno inequivocabile di dove si trova la nostra scuola e, più in generale, il nostro paese rispetto non solo ai valori dell’uguaglianza di genere, ma anche in primis all’esistenza di una sensibilità stessa per questi valori. Perdonate l’inevitabile gioco di parole, ma la sensibilità italiana sull’uguaglianza di genere è ancora lontanissima dal raggiungere uno stadio di maturità, anzi: a malapena esiste. Se poche autrici compaiono nelle tracce di maturità, è perché al Ministero dell’Istruzione non si ritiene che sia necessario né importante (quando invece lo è, per i motivi che illustrerò a breve).
E attenzione: la mancanza di sensibilità sui valori dell’uguaglianza di genere trascende il colore politico del Ministero in carica. Negli anni più recenti in cui nessuna donna è comparsa tra le fonti, al governo avevamo una maggioranza di centro-sinistra (2013) e Movimento 5 Stelle (2018 e 2019). Le cause del problema non sono politiche: sono culturali.
È una situazione allarmante, visto il compito educativo della scuola e il valore simbolico dell’esame di maturità nel cammino di crescita degli italiani. Grazie anche a film e canzoni, in Italia viviamo la maturità non solo come mera burocrazia scolastica, ma anche come momento di passaggio, spartiacque tra la giovinezza spensierata e l’età adulta, culmine di un lungo percorso di istruzione che ci consegna, “maturi”, a una fase superiore, caratterizzata da responsabilità, indipendenza e scelte. A questo snodo cruciale della vita italiana, la scuola — in senso lato ma anche letterale, nella forma istituzionale del Ministero dell’Istruzione — dovrebbe mostrarci l’interezza e la vastità dell’identità e dell’esperienza umana, senza esclusioni. Dovrebbe proporci una diversità di modelli ed esempi umani, per insegnarci che nel mondo adulto è giusto — non sempre possibile, ma giusto — che tutti, e non solo i maschi, possano realizzarsi nella pienezza della loro umanità e del loro desiderio (ho scelto di focalizzarmi sui binari di uomo e donna, ma la mancanza di diversità di voci nei documenti della prima prova si estende anche al colore della pelle e all’orientamento sessuale).
È così che la scuola ci rende maturi e ci permette di compiere le scelte della vita adulta in maniera più vera e consapevole. Ma non lo fa. Il paradigma che la scuola ci propone in fase di maturità è sempre lo stesso, quello che onora ed esalta quasi esclusivamente i volti, le voci e le opere di maschi bianchi eterosessuali. Una maturità al maschile assomiglia solo a una parte degli studenti. Riflette un’immagine parziale e non veritiera della realtà. Implicitamente, suggerisce che solo questa immagine conta, e che affermarsi nella vita è davvero possibile solo a chi in questa immagine si identifica.
Purtroppo, in questo senso, non c’è contraddizione tra le tracce della prima prova e il percorso scolastico di cui la maturità rappresenta il compimento. Il problema esiste già alla base, nei programmi scolastici. Non so se e come si siano evoluti nei tre lustri che sono passati da quando ho lasciato i banchi di scuola, ma ai miei tempi si contavano sulle dita di una mano le donne che studiavamo in italiano, storia, scienze, filosofia e tutte le materie in cui incontriamo persone.
In tanti diranno che è ovvio che sia così. Fino a pochi anni fa le donne stavano a casa a crescere i figli e cucinare per i mariti. Solo gli uomini erano impegnati nella vita politica, letteraria, scientifica, sociale, in Italia e nel mondo. Che donne possiamo incontrare e studiare, se storicamente le donne non hanno contribuito allo sviluppo della conoscenza?
A parte ovviamente che non è vero: la conoscenza ha ricevuto tantissimi contributi femminili e se ignoriamo questo fatto, è proprio a causa di un’esclusione sistematica delle donne dai libri di testo (se n’è parlato anche qui, qui, qui e qui). Per quanto riguarda solo la prova di italiano della maturità, il Ministero dell’Istruzione può pescare da una lunga lista di scrittrici e poetesse che hanno contribuito alla letteratura italiana dell’Ottocento e del Novecento (ma non lo fa).
Ma oltre a smantellare il maschilismo su cui si regge l’istruzione italiana (Giovanni Gentile, il ministro del governo Mussolini che ha introdotto la maturità, sosteneva in Esiste una scuola pubblica in Italia? che le donne “non hanno e non avranno mai né quell’originalità animosa del pensiero, né quella ferrea vigoria spirituale, che sono le forze superiori, intellettuali e morali, dell’umanità”) includendo voci femminili nei programmi, è proprio l’assenza delle donne che possiamo studiare, e le sue cause.
Trovo sempre meno accettabile che la scuola si concentri solo sullo studio della presenza, ovvero su chi ha fatto, chi ha scritto, chi ha fondato, chi ha scoperto, chi è stato eletto, ecc. Questo metodo ignora completamente i motivi per cui solo a una certa parte della popolazione — agli uomini — è stato concesso e garantito il diritto di fare, scrivere, fondare, scoprire, farsi eleggere. Accompagnare (non sostituire, beninteso) lo studio della presenza con un riconoscimento dell’assenza, invece, è un metodo più giusto e veritiero. Significa studiare, criticamente, le dinamiche sociali, culturali e politiche che hanno impedito alle donne (continuo sui binari del genere che vedo come più pertinenti all’Italia che studiamo a scuola — ma negli Stati Uniti, dove vivo, anche il colore della pelle gioca un ruolo fondamentale) di avere accesso alle stesse opportunità degli uomini e di raggiungere gli stessi traguardi e risultati. È per questo che i programmi scolastici sono dominati dagli uomini — non perché le donne non sono state capaci di compiere le stesse imprese degli uomini. No: semplicemente non è stato loro permesso.
La scuola ci presenta sempre la realtà dell’onnipresenza maschile come tale, come un dato di fatto che non viene mai messo in discussione. E invece dovrebbe esserlo, perché se lo fosse, forse la mancanza di diversità degli individui che studiamo non continuerebbe a ripetersi, ancora, nel 2023.
Così, la scuola svolge il proprio compito solo a metà. Lo sostiene in maniera brillante anche Elena Stancanelli su La Repubblica del 21 giugno, il giorno della prima prova. In un commento sull’Italia “maschile, borghese, eterosessuale, bianca, sovranista e anche un po’ luddista” che emerge negli argomenti delle tracce (non gli autori, attenzione, su cui invece si concentra la mia riflessione), Stancanelli sottolinea che il compito della scuola è quello di “andare dove le giornate dei ragazzi e le ragazze non andrebbero naturalmente, forzandoli, spingendoli, tirandoli verso altro. Facendo loro leggere e studiare argomenti che non avrebbero intercettato, spacciando libri di carta e altre bizzarrie del novecento.”
Io stessa, che penso e parlo così oggi, a quasi 34 anni, non avevo fatto particolare caso all’assenza delle donne quando ero a scuola. Studiavo gli uomini e le loro gesta perché era scontato che fosse così. Non solo non l’ho mai messo in discussione, ma anche — e soprattutto, perché andavo a scuola per scoprire e comprendere la realtà grazie all’aiuto di altri, non da sola — nessuno mi ha mai suggerito che fosse il caso di farlo (ho comunque avuto molti maestri e professori magnifici, che ancora oggi porto nel cuore). Tant’è che mi sono sorpresa di vedere, rileggendo le tracce della prima prova della mia maturità, che il tema di argomento storico nel 2008 riguardava proprio la condizione femminile.
Così recitava la traccia: “Cittadinanza femminile e condizione della donna nel divenire dell’Italia del Novecento. Illustra i più significativi mutamenti intervenuti nella condizione femminile sotto i diversi profili (giuridico, economico, sociale, culturale) e spiegane le cause e le conseguenze. Puoi anche riferirti, se lo ritieni, a figure femminili di particolare rilievo nella vita culturale e sociale del nostro Paese.” Non ricordo di aver preso in considerazione questo tema. Scelsi di scrivere un saggio breve di argomento artistico-letterario su “La percezione dello straniero nella letteratura e nell’arte” (Elsa Morante figurava fra le fonti), che più corrispondeva agli interessi dei miei 18–19 anni. Al femminismo e alla causa dei diritti delle donne ci sono arrivata più tardi, durante i vent’anni e grazie soprattutto al trasferimento negli Stati Uniti, dove i problemi sono tanti ma l’importanza della parità di genere non viene messa in discussione. Mi chiedo però oggi che cosa avrei potuto scrivere allora sulla condizione femminile, se la scuola non aveva fatto nulla per prepararmi, né tantomeno sensibilizzarmi a questo argomento.
Trovo quindi molto interessante e pertinente proprio il brano dell’unica donna scelta per la prima prova della maturità di quest’anno. “La storia è fatta da tutti o da pochi?”, si chiede Oriana Fallaci nella prefazione al suo Intervista con la storia, una raccolta di interviste a ventiquattro uomini e tre donne che hanno definito il periodo storico tra gli anni sessanta e settanta. Fallaci avanza quella che chiama “ipotesi atroce” che la storia sia in effetti “decisa da pochi, dai bei sogni o dai capricci di pochi, dall’iniziativa o dall’arbitrio di pochi. Quei pochi che attraverso le idee, le scoperte, le rivoluzioni, le guerre, addirittura un semplice gesto, l’uccisione di un tiranno, cambiano il corso delle cose e il destino della maggioranza”. Si tratta, continua Fallaci, di “un pensiero che offende, perché in tal caso, noi che diventiamo? Materiale di contorno, foglie trascinate dal vento?” (preciso che con “noi” Fallaci si riferisce ai molti il cui nome e volto rimane senza fama nella storia, non alle donne).
Che coincidenza beffarda, che a pronunciare queste parole sia proprio l’unica donna citata nella prova di italiano di quest’anno — perché Fallaci va dritta al punto del problema della mancanza di donne nei temi della maturità e, prima ancora, nei programmi scolastici. È vero che la storia è fatta da pochi — e qui estendo la parola storia anche ai contenuti di altre materie in cui è presente una componente umana — nel senso che solo pochi entrano nei libri di scuola. Ma è anche vero che studiare solo questi pochi, ignorando le ragioni per cui solo a questi pochi è stato concesso di fare la storia e dimenticando gli altri, è un’offesa, come dice Fallaci, una scelta atroce. Ed è proprio a causa di questa scelta atroce che le donne diventano “materiale di contorno”. Non lo diventerebbero, se facessimo scelte diverse.
Sarebbe quindi più bello, più utile e più istruttivo che anziché chiederlo ai maturandi del 2023, il Ministero dell’Istruzione chiedesse a se stesso se vale la pena includere le donne nei programmi scolastici e nella maturità, invece di astenersi completamente da questa riflessione e compiere importanti scelte in merito. Perché così facendo, non assolve il proprio compito, rendendoci davvero foglie trascinate dal vento.
Nota che aggiungo oggi per completezza: sul sito del Ministero sono disponibili anche le tracce dei tre anni precedenti al 2008. Le autrici sono 2 nel 2007 (Elsa Morante, Isabelle Stengers), 2 nel 2006 (Gianna Schelotto, Christiana de Caldas Brito), 0 nel 2005. Le tracce anteriori al 2005 non sono disponibili. A oggi, quindi, prima che inizi l’edizione 2024, il totale complessivo di autrici in vent’anni di esame di maturità è 27.
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Come dimostra il fatto che potete tranquillamente scegliere se pagare 10€ o 20€, non è al guadagno che ambisco con Anche una donna qui — al di là di rendere questo mestiere sostenibile — quanto più l’idea di creare insieme una comunità fondata nei valori della giustizia sociale.
Assolutamente d'accordo con la sua analisi. Sono statainsegnante della Secondaria di 2° grado fino all'anno scorso e mi rammarico di aver poco contribuito a diffondere la consapevolezza sull'importanza della parità di genere e del femminismo.
Però, una sola nota vorrei sottoporle: non usiamo, per favore, dopo 100 anni ancora la locuzione "esame di maturità"; è cambiata con la legge 425 del 1997: da allora, Esami di Stato conclusivi del secondo ciclo d'istruzione
Sicuramente, la vecchia locuzione piace molto all'attuale establishment. Noi, generazione che ha contribuito a ridefinirla, ci impegnammo per decenni, a partire dalle mobilitazioni studentesche degli anni '70, per mettere in discussione la presuntuosità dell'idea di giudicare la "maturità" dei giovani, invece delle competenze per le quali venivano formati. Anche perché, non mi risulta che, a tutt'oggi, sia stato definito un sistema obiettivo della valutazione della "maturità" delle persone