Anche una donna qui

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Dovrà succedere qualcosa di veramente brutto

Dovrà succedere qualcosa di veramente brutto

Tutte le persone repubblicane con cui ho parlato sanno che il costo della vita aumenterà e bisognerà fare sacrifici. Nessuna pensa che Trump sia da biasimare.

Avatar di Enrica Nicoli Aldini
Enrica Nicoli Aldini
mag 07, 2025
∙ A pagamento
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Dovrà succedere qualcosa di veramente brutto
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Perché proprio con l’edizione di oggi? Perché è ricca di testimonianze e materiale che ho raccolto sul campo, con un notevole investimento di risorse fisiche ed economiche, su uno dei temi principali dell’attualità; questo viene raccontato da una prospettiva inedita, che le testate tradizionali italiane raramente possono offrire (perché le loro risorse limitate sono giustamente concentrate altrove, là dove la politica si fa in grande, non dove si vive in piccolo). Credo che questa edizione sia un ottimo esempio di cosa significhi scrivere per lavoro, e quindi lavorare per scrivere. La creazione originale che ne deriva è portatrice di valore per chi legge.

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Come si spiega il fatto che lo votino, che vada loro bene qualsiasi cosa lui faccia? Con il culto della persona del leader.

Delle tante volte che ho chiesto a mia nonna Enrichetta se crescendo nell’Italia fascista era consapevole di vivere sotto una dittatura, la risposta più eloquente è arrivata sottintesa tramite soggetto sottinteso:

“Sai, alla fine ci ha portato in guerra”, ha osservato la nonna con un’espressione grave in volto.

Intendeva dire che una volta arrivata la guerra, e con essa la fame, la desolazione e la distruzione, era diventato impossibile anche per i seguaci più irriducibili di Mussolini ignorare la realtà delle cose: l’Italia era caduta vittima di un tiranno che aveva portato il Paese non al benessere, ma alla rovina.

Il cammino verso la rovina era stato lungo vent’anni, ma solo una parte del popolo italiano si era accorto delle cose brutte che continuavano ad accadere. Finché non è accaduta una cosa veramente brutta: è scoppiata la guerra. E la natura della guerra non ha lasciato spazio a interpretazioni alternative, ai ridicoli pretesti di redenzione che avevano permesso al regime di fiorire indisturbato: sì, questa riforma abolisce di fatto ogni libertà di opposizione al partito fascista, ma è per il nostro bene che abbiamo bisogno di un governo fascista! Sì, l’intervento militare in Etiopia ha utilizzato metodi brutali e oppressivi, ma l’Italia ora ha finalmente guadagnato il lustro di impero mondiale che si merita! La guerra, no: la guerra è stata solo morte, immune all’illusione di pretestuosi ma.

Ho ripensato a quella risposta di mia nonna — all’idea che era dovuto succedere qualcosa di veramente brutto, nella storia d’Italia, perché la gente finalmente aprisse gli occhi sull’unica lettura possibile del capitolo Benito Mussolini — mentre guidavo per le campagne del Sud degli Stati Uniti, metabolizzando le risposte di agricoltori e persone della classe lavoratrice alle mie domande sulla politica commerciale di Donald Trump.

Sì, a causa dei dazi i prezzi si alzeranno e l’economia peggiorerà prima di migliorare. Ma lui ha detto che dobbiamo avere pazienza, che è tutto per un fine più alto e più nobile, per creare lavoro e ricchezza domestica e ristabilire giustizia dopo che gli Stati Uniti sono stati “fregati” sulla scena commerciale mondiale.

Collezionando diverse risposte tutte così riassumibili, ho provato la netta, spiacevole e terrorizzante sensazione che l’unica strada per uscire da questa situazione — per superare l’infatuazione Trump e sbarazzarsi del regime — dovrà succedere qualcosa di veramente brutto.

Vaughn mi parla della sua attività agricola mentre mangia cheddar tots (crocchette di patate ripiene di formaggio) in un diner a Hughes, in Arkansas

“Ma sì, certi prezzi si alzeranno. Le parti per i macchinari, le forniture prodotte all’estero. Le materie prime”. Il tono di Vaughn, mentre prevede le conseguenze dei dazi di Trump per l’azienda agricola di famiglia, è impassibile, sbrigativo e accompagnato da un’imperturbabile alzata di spalle. “Sapevamo che la situazione avrebbe dovuto peggiorare prima di migliorare”, commenta tranquillo il contadino cinquantaseienne, nato e cresciuto a Hughes, in Arkansas, dove coltiva grano, soia, mais e riso.

Mentre nel mondo là fuori il Fondo monetario internazionale rivede al ribasso le stime di crescita dell’economia statunitense; mentre commentatorə, economistə ed rappresentanti dell’opposizione puntualizzano le contraddizioni tra la promessa elettorale di abbassare i prezzi e l’effetto contrario prodotto dai dazi; mentre fior di economistə prevedono un aumento del costo della vita per le famiglie statunitensi pari a migliaia di dollari ($4.900 secondo il Budget Lab di Yale) e una perdita di profitto nell’industria agricola pari a 42 milioni di dollari, Vaughn continua a pucciare cheddar tots nella salsa ranch senza scomporsi.

“Ho talmente tante cose a cui pensare, che i dazi sono l’ultima delle preoccupazioni”, mi spiega Vaughn. “Sì, verrò colpito, ma come al solito me la sbrigherò. Cosa vuoi che siano cento, duecento, trecento dollari in più?”, domanda retoricamente prima di parlarmi di quanto è povero il Sud degli Stati Uniti, da cui Vaughn non si è mai allontanato.

“Sei mai stata a New York?” mi chiede, e io provo imbarazzo, di fronte all’americano che ha capito che l’italiana ha girato il suo Paese più di lui. Sì, sono stata a New York diverse volte nell’evoluzione del mio rapporto con gli Stati Uniti: per turismo, per trovare amici, per riunioni ed eventi nell’ufficio dell’azienda per cui lavoravo. Vaughn invece non ci è mai stato, ed è il suo sogno.

Prima di andare di persona alla ricerca di agricoltori come Vaughn, mi ero avvicinata alla loro opinione sui dazi tramite la stampa di orientamento democratico su cui mi informo (New York Times, Washington Post, New Yorker, Atlantic). Qui erano emerse soprattutto storie di persone che dopo aver votato per Trump erano rimaste profondamente deluse dalla sua politica commerciale. Quando le sono andate a cercare, però, non ne ho trovata neanche una.

Tutte le persone con cui ho parlato di dazi negli Stati repubblicani del Sud si dichiarano consapevoli che il costo della loro vita aumenterà e bisognerà fare sacrifici. Nessuna lo considera un problema per cui biasimare Trump.

Il motivo, mi spiega Vaughn, è semplicemente che di Donald Trump ci si può fidare. Basta guardare il suo curriculum prima di entrare alla Casa Bianca: “È un uomo d’affari. Non sarebbe arrivato dov’è oggi se non fosse sveglio”, osserva Vaughn. È nell’ottica del saper condurre affari che rientra la logica apparentemente cristallina del “far pagare a loro i dazi che fanno pagare a noi” — che altro non è che una distorsione della vera dinamica in atto: in presenza di dazi sulle importazioni, sono gli Stati Uniti a dover pagare una tassa sulla merce acquistata da Paesi stranieri.

Vaughn questo lo sa; Lorin, il proprietario del diner, invece rimugina in silenzio quando gli chiedo chi pagherà il conto di tutti questi dazi.

“A sto giro mi hai beccato. Non lo so”, ammette Lorin.

Lorin al bancone del suo diner a Hughes, nelle campagne dell’Arkansas

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