Appunti sparsi sul dilemma Joe Biden
Non posso esimermi, anche perché vedo tanti commenti in Italia che travisano i punti centrali della questione
Normalmente non invio newsletter a notte fonda in Italia (quando la gente dorme) e neppure nel weekend (quando la gente è in giro e presta meno attenzione a email e notifiche). Ma la situazione Biden si evolve e potrebbe cambiare così velocemente che questa volta invio non appena il pezzo è pronto. Dubito che se Biden dovesse abbandonare la propria candidatura lo annuncerebbe nel weekend, quindi ho qualche ora di scarto per inviarvi queste riflessioni.
Vi siete iscrittə ad Anche una donna qui (e vi ringrazio) per leggere riflessioni sulla parità di genere. Spero quindi che non me ne abbiate se oggi mi addentro nella politica americana, che ho coperto come giornalista nel 2015-2016 durante la campagna elettorale per le presidenziali che culminò nell’elezione di Donald Trump, e di cui continuo a interessarmi attivamente considerato che, beh, vivo da questa parte del mondo. Me ne metto così tanto che ogni mi scordo (e chi è attorno a me si scorda) che negli Stati Uniti non ho nessun diritto di voto: parlo parlo, poi nella sostanza mi tocca rimanere a guardare.1
Scrivere un pezzo sugli Stati Uniti è anche un esperimento per vedere quanto interesse suscita. Se esco dai confini delle questioni di genere, mi leggerete ancora? O la prenderete come una rottura della tacita promessa tematica che ci siamo fattə in fase di iscrizione?
Mi preme saperlo, perché mi piacerebbe che ogni tanto Anche una donna qui toccasse argomenti diversi dalla parità di genere senza dover premettere tre paragrafi di giustificazione. Anche perché credo che si possa uscire dai confini delle questioni di genere in senso stretto senza creare rottura, ma mantenendo continuità con il tema principale — tant’è che come vedrete alla fine di questo pezzo, alla parità di genere si torna sempre e in ogni modo.
Facciamo che vi chiedo direttamente che ne pensate con un piccolo sondaggio?
Per oggi intanto procedo, illustrando il mio punto di vista su ciò che sta accadendo nella corsa alla Casa Bianca, con il Partito Democratico e il suo elettorato divisi sulla candidatura di Joe Biden viste le ragionevoli preoccupazioni sulla sua età avanzata.
Lo faccio anche perché vedo tanti ma tanti commenti sulla scena giornalistica italiana che travisano completamente diversi punti critici della questione.
Non pretendo di essere io quella che ha in mano la verità — figuriamoci! — e il potere di chiarirla nelle vostre teste — non è così! — però ci tengo a buttare giù alcuni appunti in ordine sparso.
Non è vero che nessuno parla di quanto è terribile Trump
Una delle critiche più comuni, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in Italia, alle argomentazioni a favore di un ricambio nella candidatura democratica alla Casa Bianca è che si insiste tanto sulla vecchiaia di Biden e si sorvola su tutto ciò che c’è dall’altra parte: Donald Trump è stato recentemente trovato colpevole di felony, ovvero il grado di reato più grave nel sistema giuridico americano, è coinvolto e indagato in altri sette procedimenti legali tra cui l’accusa gravissima di aver intralciato il processo democratico alle elezioni del 2020, è un evasore fiscale, è apertamente razzista, misogino, omofobo, ecc., eppure si parla sempre e solo di quanto è vecchio Biden.
Non è vero. Stampa, attivistə, organizzazioni varie non hanno mai smesso di denunciare tutto ciò che Trump è, ha fatto e rappresenta e i rischi esistenziali di un eventuale suo secondo mandato.
Lo fanno senza sosta, per la precisione, da nove anni. È da nove anni che se ne parla — da quando il 16 giugno 2015 Trump ha annunciato la sua candidatura alla presidenza scendendo da una scala mobile nel grattacielo eponimo sulla Fifth Avenue di New York — ed è da nove anni che non basta, perché è da nove anni che ci si spezza la schiena per convincere il pubblico americano che Trump è una minaccia al bene del paese e alla democrazia, ed è da nove anni che ciononostante Trump accumula sempre più consensi.
Per proseguire in questa argomentazione serve fare un secondo appunto…
Vecchiaia di Biden e panzane di Trump non sono sullo stesso piano
In interviste, conferenze stampa e varie apparizioni pubbliche Biden continua giustamente a rimarcare di essere nettamente più qualificato di Trump per guidare gli Stati Uniti. Su questo non esiste dubbio alcuno: le qualifiche e l’esperienza di Biden, eletto per la prima volta senatore del Delaware nel 19722 dopo appena due anni in politica come consigliere della Contea di New Castle, eclissano completamente il curriculum politico di Trump, che non solo ha poca esperienza, ma è anche bugiardo e disonesto.
Ma non è questo il punto.
Il punto è che non ci sono qualifiche ed esperienza che tengano se il tuo corpo e la tua mente hanno iniziato a cedere; non ci sono qualifiche ed esperienza che arrestano un processo di invecchiamento che è per sua natura irreversibile. Anche io ogni tanto osservo con orrore i capelli bianchi che spuntano qua e là in una chioma di capelli di appena trentacinque anni, e penso ingenuamente che magari è solo un periodo. Non lo è. Indietro non si torna. Così come nell’infanzia avere zero anni e averne quattro fa la differenza tra emettere suoni e parlare, agitare le gambe e camminare, in vecchiaia avere ottantadue anni e averne ottantasei può fare la differenza tra parlare ed emettere suoni, camminare e non farlo più.
Si dice, a ragione, che a determinare l’esito di novembre saranno lə elettorə indecisə: se dopo nove anni di disonestà, crimini e colpi di stato sventati per un soffio, un* elettorə non ha ancora deciso cosa pensa su Donald Trump, mi spiegate come può scegliere di votare per un Joe Biden che a tratti mi ricorda i miei quattro nonni nei mesi precedenti alla morte — e non è una battuta, né gusto per il tragico?
Non comprendo chi si scandalizza con coloro che sperano che Biden abbandoni la corsa perché “non vedete chi c’è dall’altra parte?!?!” Lo vediamo benissimo chi c’è dall’altra parte. Lo sappiamo, ne parliamo, scendiamo in piazza contro di lui da nove anni. È proprio perché vediamo chi c’è dall’altra parte che pensiamo che Biden non sia il candidato ideale per sfidare Trump nella corsa alla Casa Bianca.
Le panzane di Trump e la vecchiaia di Biden non possono essere messe sullo stesso piano. Sono due cose molto diverse, che esistono in parallelo e si intersecano nel momento in cui la seconda potrebbe non bastare per contrastare le prime.
Una volta per tutte: parlare della vecchiaia di Biden non significa implicitamente condonare le panzane di Trump.
Nessuno sta veramente ventilando la candidatura di Michelle Obama
La Repubblica continua a uscirsene con titoli che starebbero bene nella sezione letteratura di fantascienza di una libreria. Uno in particolare mi ha innervosito, perché è proprio fuorviante: “Michelle Obama, la stella che fa sperare i democratici Usa” Ma cosa? “Il nome che tutti hanno nel cuore e nella mente è quello della ex first lady Michelle Obama”, vaneggia Repubblica. “L’unica associata alla descrizione: ‘Quella che vincerebbe’.” Ma dove?
Lettrici e lettori care e cari, credete a me che negli Stati Uniti ci vivo e vegeto, non è così. È ovvio che qualsiasi elettrice o elettore democratica/o che si rispetti sarebbe felice di vedere Michelle Obama alla Casa Bianca. Tuttavia, questa prospettiva non è neanche lontanamente nelle carte. Innanzitutto, Michelle Obama ha più volte ribadito che (almeno per ora) non ha nessuna intenzione di proporsi. Ma soprattutto, in un momento così delicato, nessunə si sognerebbe di mandare al patibolo una personalità che per quanto brillante, non ha nessuna carica e nessun programma politico all’attivo. Trump è stato eletto senza cariche politiche precedenti, certo, ma ha anche avuto un anno e mezzo a disposizione per fare campagna.
Scommettere su Michelle Obama a quattro mesi dalle elezioni è un rischio che il Partito Democratico non può permettersi di correre.
Diffidate di quei titoli all’italiana, per cortesia.
Anche Kamala Harris, purtroppo, presenta i suoi rischi
Il discorso sulla vicepresidente in carica merita un post intero, ma per ora la faccio breve: Kamala Harris è una donna nera in un paese che quando si è paventata l’occasione non è riuscito a eleggere neanche una donna bianca.
C’è chi cercherà di convincervi che non è vero. Hillary Clinton non piaceva e basta! Non era una candidata gradevole (likeable)! Il sesso non c’entra! Dimenticandosi che è proprio così che funzionano i pregiudizi inconsci, perché sfido chiunque a sostenere che Trump sia likeable, eppure l’uomo unlikeable è stato eletto e la donna unlikeable no.
La candidatura di Kamala Harris presenta le stesse incognite e gli stessi rischi. Anche qui c’è chi cercherà di convincervi: Harris va malissimo nei sondaggi perché non piace e basta! Il sesso e il colore della pelle non c’entrano! Dimenticandosi che è proprio così che funzionano i pregiudizi inconsci.
Coloro che sostengono che Clinton e Harris non hanno riscosso abbastanza consensi perché non sono abbastanza likeable devono ancora riuscire a spiegarci perché la unlikeability sembra essere sempre e solo un vizio delle donne che si avvicinano pericolosamente alla rottura del soffitto di cristallo.
In qualità di vicepresidente in carica, Kamala Harris dovrebbe essere l’unica scelta logica per rimpiazzare Biden. Il fatto che non lo sia — altri nomi la precedono nella lista, come il governatore della California Gavin Newson, il segretario dei trasporti Pete Buttigieg e la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, che è donna ma ancora sufficientemente lontana dalla Casa Bianca per essere percepita come una minaccia e far scattare i pregiudizi inconsci — già ci dice davvero tanto sull’aria che tira quando si parla di candidare una donna nera alla presidenza degli Stati Uniti.
Per approfondire ulteriormente vi rimando a due ottimi articoli di
, su Slate e su The New Statesman.Biden è un uomo bianco cis etero ecc. che si rifiuta di ammettere la propria debolezza
Ve l’avevo detto, che alle questioni di genere prima o poi ci tornavamo. Come possiamo qualificare l’ostinazione di Joe Biden a rimanere in corsa, se non come espressione di un’illusione di invincibilità tipicamente maschile? Come ha detto Maria Cafagna questa settimana nella sua newsletter di Wired Roba da femmine, possiamo tutti raccontare la storia di un padre, nonno, zio, ecc. che si rifiuta di accettare i limiti della vecchiaia e continua a fare cose che non dovrebbe (mio nonno Fulvio non voleva saperne di consegnare la patente a mia mamma e mio zio nonostante avesse perso la vista da un occhio).
Così anche Biden. L’uomo bianco è da sempre condizionato a pensare che non esiste limite a ciò che può essere, fare, ottenere. E se sei un uomo bianco che legge queste parole, sappi che porsi un limite serve non solo a creare più spazio per le donne, i giovani, i non-bianchi, ecc., ma serve anche a te, per liberarti dalle catene che ti costringono a non mollare mai, che ti tolgono il sollievo di dire “lascio tutto”.
Alla tracotanza al maschile del nodo Biden si aggiunge la tracotanza della sinistra intellettuale (lo dico da persona di sinistra). Ci crediamo così moralmente superiorə all’elettorato di Trump, che siamo ancora convintə che l’universo prima o poi farà la cosa giusta e ristabilirà giustizia senza che ci venga richiesta una goccia di sudore.
Non è così. Prima di tutto, l’elettorato di Trump va preso sul serio, perché è proprio quando non viene preso sul serio che si rafforza e moltiplica. Il fenomeno Trump è dilagato proprio perché certə americanə si sono sentiti sottovalutatə nella loro umanità e nel loro desiderio. Secondo di tutto, l’universo non ristabilisce giustizia se percepisce mancanza di umiltà e lavoro sodo.
Credere che basti avere “ragione morale” affinché l’universo ci faccia vincere a novembre è proprio sbagliato: guarda cos’è successo a novembre 2016! Rifiutandosi di riconoscere il proprio limite umano e rimanendo in corsa, Biden fa spallucce al pericolo Trump e impedisce al Partito Democratico di costruire una seria alternativa al trumpismo.
Biden deve abbandonare la corsa
Se non avevate ancora capito che la penso così, vi invito a rileggere da capo :-)
Se voglio diventare cittadina americana, posso farlo a partire dal 2025, a cinque anni dall’ottenimento della Green Card. Le prime elezioni a cui potrei votare sarebbero quelle di medio termine nel 2026 per il rinnovo di una parte del Congresso (peccato, sarebbe più bello se la prima volta fosse a una presidenziale!).
In uno spettacolare colpo d’ironia, i suoi manifesti elettorali ponevano l’accento sull’età avanzata del candidato repubblicano avversario, Caleb Boggs, per argomentare che non fosse più idoneo alla carica.