Aghi nel pagliaio
Incontri imprevisti con oppositorə di Trump nel profondo Sud rurale degli Stati Uniti
La risposta, quando Hannah mi chiede da quale città italiana provengo mentre pago alla cassa di Jo & Friends Country Kitchen, è scritta sulla lavagna dietro di lei. Dal menù del diner dove Hannah lavora a Roanoke, nell’Alabama centro-orientale, per 2 dollari e 99 centesimi è possibile ordinare un biscuit1 ripieno di bologna con la b minuscola, che da queste parti del mondo altro non è che un affettato2.
La soddisfazione che provo a rispondere così — “quella città lì scritta sulla lavagna” — è ricambiata solo da un mezzo sorriso sul volto di Hannah, ma la sua curiosità per la mia provenienza straniera ha il sapore della sorpresa.

Le zone ricche, urbane e ultrasviluppate degli Stati Uniti mi hanno abituata a reazioni di sproporzionato entusiasmo quando rivelo che sono italiana. Le persone statunitensi istruite, abbienti e viaggiatrici adorano l’Italia. Nelle zone rurali, invece, dove le opportunità di conoscere il nostro Paese sono più rare, la reazione è molto diversa: non c’è.
L’argomento è affascinante e merita un approfondimento dedicato in futuro; per ora basti sapere che è così, e al bancone del diner in Alabama mi sono presentata con questa aspettativa. E Hannah, che invece di reagire alla parola “Italia” con il silenzio mi ha chiesto dettagli, l’ha frantumata. Colgo in Hannah qualcosa di diverso, che avrò modo di indagare dopo aver pranzato al diner.
Jo & Friends Country Kitchen è il classico diner a conduzione familiare da villaggio rurale. Menù senza fronzoli, piatti generosi, prezzi bassi, una semplice sala con i muri dipinti in pendant con le tovaglie di plastica a quadretti bianchi e neri. A un grande tavolo all’entrata della sala si alternano operai da manutenzione stradale, perlopiù neri. Ogni tanto ne entra uno nuovo e si aggrega, e non mi è chiaro se fanno tutti parte della stessa squadra oppure se ciò che li accomuna basta per condividere un pasto anche senza conoscersi.
Alla televisione appesa a un angolo del soffitto, l’emittente locale di Fox annuncia l’ennesima sparatoria nel campus di un’università.3 Una donna sulla sessantina, seduta con il marito al tavolo di fianco al mio, scuote la testa in segno di sconforto. Sarebbe l’occasione per chiederle cosa ne pensa, in uno degli Stati più indulgenti in materia di armi da fuoco, ma decido di passare. Nel frattempo arriva Hannah, raccoglie il mio piatto vuoto e mi chiede se mi è piaciuto il fried chicken wrap, che è tra i suoi preferiti. Ne approfitto per domandarle se ha voglia di concedermi una breve intervista; lei, entusiasta, acconsente.
Hannah ha solo 18 anni. Le chiedo se ha votato a novembre, e mi spiega che purtroppo ha raggiunto la maggiore età solo il giorno successivo alle elezioni. “Mi è dispiaciuto tantissimo, perché volevo votare”, dice seduta al mio fianco su una panchina all’entrata del diner, mentre dalla cucina appare la proprietaria.
Chiedo a Hannah se ha voglia di dirmi per chi avrebbe votato. Lei alza lo sguardo verso la proprietaria (e sua datrice di lavoro) con un’espressione di disagio. Esita un attimo, poi mi invita a uscire dal diner. Ci appartiamo, in piedi, a destra della porta di entrata, dove Hannah finalmente dichiara in tono sommesso ma risoluto: “Kamala Harris. Avrei votato per Kamala Harris”.
Non mi trattengo. “Non volevi dirmelo mentre eravamo dentro perché temevi che qualcuno ti sentisse?”, chiedo.
“No, no, questo è un posto sicuro dove vivere”, replica Hannah, sbrigativa. “Semplicemente, ad alcune persone non piace parlare di politica sul posto di lavoro”.
Non metto in dubbio la sua sincerità, ma non riesco neanche ad allontanare la netta sensazione che Hannah non volesse esporsi al rischio di essere giudicata o addirittura respinta socialmente per le sue posizioni, visto l’82,2% di probabilità che non siano condivise dallə astanti (nella Contea di Randolph, dove si trova Roanoke, l’82,2% dellə aventi diritto al voto, ovvero 9.098 persone, ha scelto Donald Trump; il 17,3%, o 1.919 persone, ha votato per Harris).
Domando a Hannah perché Harris. “Non penso che sia per niente giusto, quello che fa Trump”, risponde. Sul volto è evidente la preoccupazione per l’operato del Presidente del suo Paese. “È una questione di diritti umani. Non sono d’accordo con ciò che Donald Trump rappresenta”.
Le chiedo di farmi un esempio. “Quello che Israele sta facendo in Palestina”, replica Hannah senza indugio. “È crudele. Terribile. Mi spezza il cuore. A sto punto si tratta di bullismo vero e proprio. Vorrei poter fare qualcosa di più… non è colpa di nessuno, il luogo in cui si nasce”.
Non sapevo cosa attendermi, da una diciottenne nelle campagne dell’Alabama. Nonostante la nomea profondamente conservatrice, anche in questo Stato le persone giovani tendono a votare democratico (54% nel 2020 — ho passato un’ora a cercare dati storici precisi sul voto delle persone tra i 18-29 anni in Alabama, stranamente questo è l’unico che ho trovato), ma generalmente sono concentrate nelle zone urbane. Secondo una ricerca di Tufts University nel 2024, il 60% dellə giovani nelle piccole città e campagne a livello nazionale (nota bene: non solo in Alabama) vota repubblicano:
Insomma, non era impossibile, ma non era neanche così probabile che Hannah sostenesse Kamala Harris. E poi c’è la risposta sulla Palestina: mi sarei aspettata che Hannah citasse un problema di politica interna — l’attentato alla democrazia, i diritti delle donne, le bugie, la manipolazione, la tirannia dei ricchi e potenti —, non un tema che molto più facilmente consuma i suoi coetanei nelle grandi università metropolitane (Hannah ha finito il liceo, ma per ora non frequenta il college). Mi sentivo in colpa a pensare così — eccallà, classica spocchia da cittadina istruita — finché consultando lo stesso sondaggio di cui sopra non ho verificato che effettivamente la politica estera non figura tra le maggiori priorità dellə giovani senza esperienza universitaria (il dato è lo stesso per le giovani donne):
Dove si informa Hannah? “Principalmente TikTok, un po’ anche Twitter”, mi racconta. Tu persona adulta che ora sicuramente stai scuotendo la testa: sei un po’ come chi nel 1995 si chiedeva perché comprare un cellulare quando c’è il telefono di casa. Non mi sembra che Hannah su TikTok si sia informata “male”.
Anzi: è probabile che se non fosse per TikTok, per la tecnologia che è ci mostra le rovine di Gaza mentre sediamo su un campo di soia in Alabama, Hannah non avrebbe maturato le stesse convinzioni politiche. È probabile che se Hannah fosse nata venti, quindici anni prima, non sarebbe uscita dal diner dell’Alabama, in senso letterale e figurato, per rispondere “Kamala Harris”.
Carl è un uomo bianco cresciuto con papà militare, stanziato prima alle Hawaii, poi in Florida. A 19 anni è entrato nell’Aeronautica e ci è rimasto per vent’anni, passando anche per il Vietnam. Ora di anni ne ha 82, vive con la moglie a Biloxi, in Mississippi, pesca per hobby e ha un figlio che pesca per lavoro, in testa calca un cappellino mimetico.
Tutto cospira a che Carl sia un repubblicano e voti per Trump, no?
No.
“Quell’idiota”, mormora Carl tra i denti, in un chiaro riferimento a Trump, quando iniziamo a parlare di dazi (ho visitato Biloxi, sul Golfo del Messico che Trump vuole chiamare d’America, perché i pescatori di gamberi della costa hanno accolto con grande felicità l’annuncio dei dazi; vi racconterò nelle prossime settimane).
Bam, sono presa alla sprovvista, costretta a fare i conti con le false certezze che di fronte al dato superficiale su quest’uomo — in assenza di dialogo — mi avevano fatto presumere un’identità politica che invece non gli appartiene.
“Sta rovinando questo Paese. Sta distruggendo una democrazia fondata nel 1776!”, prosegue Carl. “Non avrei mai pensato che un individuo del genere potesse diventare presidente”.
Sono onesta con Carl: gli dico che è il primo democratico con cui parlo durante il mio viaggio (Hannah la incontrerò due giorni dopo) e in questa zona degli Stati Uniti, anche solo per la legge dei grandi numeri, non avrei scommesso che lui lo fosse. Sorride, dice “sì, sono quello che definiresti ‘liberal’”.
Come mai, gli chiedo? “Mio padre era militare di carriera. Sono cresciuto sapendo che non bisogna essere cattivi”, risponde Carl.
Anche questa risposta è sbalorditiva. Al di là dell’evidente manifestazione di militarismo a stelle e strisce — la concezione tipicamente americana di guerra come strumento per il bene e la salvezza del Paese, per cui al campo semantico militare sono tradizionalmente associate immagini positive, gloriose, quasi gioiose4 —, non avevo mai sentito qualificare il liberalismo di sinistra come la naturale conseguenza di un’educazione militare.
E non è che si può obiettare a Carl che “l’esercito è di norma così reazionario…!”, perché l’esperienza vissuta da Carl è vera, giusta e valida così com’è, e resiste a qualsiasi argomentazione avversativa.
Carl e Hannah sono aghi nel pagliaio.
Gli aghi nel pagliaio esistono per frantumare le nostre certezze e metterci di fronte alla complessità e varietà dell’esperienza umana. Sfidano la nostra tendenza a risolvere e ridurre la realtà a binari di linee rette che non si incontrano mai.
Gli aghi nel pagliaio sono anche un laboratorio prezioso di inchiesta ed esperimento. Se avessi potuto chiacchierare più a lungo con Hannah (dopo solo qualche minuto madre e nonna sono passate a prenderla; “arrivo, sto facendo un’intervista con una giornalista!” ha urlato Hannah, a cui la madre ha risposto “wow, so cool!” ☺️), le avrei chiesto se i suoi coetanei della zona la pensano come lei, e se no, cosa secondo lei potrebbe mostrare loro il vero volto di Donald Trump.
Per scoprire gli aghi nel pagliaio, come qualsiasi altra cosa, bisogna mettersi in discussione e in posizione di ascolto. Chissà che opportunità straordinarie ci perdiamo, quando convintə dell’inesorabile ci lasciamo sfuggire l’imprevisto.
Varietà di pane salato tipica del Sud degli Stati Uniti, da non confondere con i biscuit dolci che equivalgono ai nostri biscotti in Inghilterra, ma si chiamano cookies negli Stati Uniti.
Assolutamente da non confondere con la vera mortadella IGP di Bologna (che in certe località italiane viene chiamata proprio bologna).
Il bilancio finale alla Florida State University sarà di due morti e cinque feriti.
Ho una forte avversione per tutto ciò; ne riparleremo.