Le discussioni da pasti natalizi in famiglia e la lezione di Delia in C'è ancora un domani
Di fronte all'impotenza nel portare avanti i nostri valori con familiari che la pensano diversamente, ricordiamoci di Delia che va a votare il 3 giugno 1946 nel meraviglioso film di Paola Cortellesi
Ora che sono in Italia sono finalmente potuta andare al cinema a vedere C’è ancora domani di Paola Cortellesi, giusto in tempo prima che esca dalle sale. Ho pianto tantissimo sul finale, quando Marcella raggiunge Delia al seggio e poi Delia entra a votare (la sinossi è intenzionalmente vaga, per evitare spoiler, ma tanto l’avete già visto tutti). Ho pianto non solo pensando al significato del film, ma anche al significato del film rispetto alla chiacchierata che avevo fatto poche ore prima a pranzo con mio zio materno, che è un prete, e con mio padre, che è molto cattolico.
Vedo mio zio una, massimo due volte all’anno. È una persona amichevole, bonaria, scherzosa. È entrato in seminario tra la gioia di mia nonna e la collera di mio nonno, che avrebbe voluto che il figlio primogenito diventasse medico e producesse nipoti con il suo stesso cognome. Ho colto l’occasione della sua presenza a un semplice pranzo infrasettimanale a casa dei miei per interrogarlo sul dominio maschile nella chiesa cattolica, ed esprimere i miei pensieri e le mie emozioni rispetto all’idea che l’autorità divina debba passare solo per figure di uomini. Questa posizione dottrinale mi faceva sempre sentire inferiore quando ero piccola, gli ho spiegato.
Non intendo ora raccontare il contenuto della conversazione, né disquisire dell’impatto che crescere in una famiglia cattolica praticante ha avuto nella mia vita.
Solo una cosa voglio dire, che ho pensato mentre al cinema guardavo Delia farsi bella e indossare la camicetta che ha cucito apposta per andare a votare il 31 giugno 1946. Delia che sfugge alle grinfie del marito violento e abusivo per partecipare al primo voto concesso alle donne in Italia. Delia che segue l’intuizione che forse quel primo voto alle donne contiene una possibilità di autodeterminazione presente per attuare una liberazione futura. E questa liberazione non è solo per se stessa, per affrancarsi dalle vessazioni del marito, ma è per tutte e con tutte le donne, per affrancarsi dalle vessazioni di tutti gli uomini.
Guardavo Delia, piangevo copiosamente e pensavo: guarda da dove proveniamo, noi donne. Guarda cosa abbiamo dovuto sopportare fino a pochi giorni fa (io sono nata 43 miseri anni dopo il 1946; per intenderci, è la stessa differenza che passa tra oggi e il 1980). Alla luce della nostra storia di oppressione, come può essere giusto che io tiri fuori il dominio maschile esercitato dalla chiesa, e due uomini bianchi nati negli anni 50 in due famiglie benestanti e patriarcali devono scuotere la testa, guardarmi con aria di sufficienza e negare la validità delle mie affermazioni?
Piangevo e provavo rabbia pensando alla difficoltà di farmi ascoltare e capire da mio zio e mio padre. Non è giusto. Ma come aprire le loro orecchie, fare breccia nei loro cuori?
Il problema è che io voglio bene a mio padre e a mio zio. Ho paura di deluderli, se insisto troppo. Improvvisamente ringiovanisco di vent’anni; mi sento come un’adolescente alla ricerca di un battibecco, invece di un’adulta che crescendo ha sviluppato un pensiero suo personale che non corrisponde allo standard familiare. Loro pensano che basti seguire Gesù per avere ragione; io penso che seguire Gesù significhi anche mettere in discussione scelte fatte in suo nome che hanno spesso causato dolore e oppressione.
Ma la paura di deluderli è così forte che mi accheto, faccio la diplomatica, replico che non sono d’accordo, ma ne riparleremo.
In questi giorni di festa il mio feed Instagram è pieno di post su come sopravvivere ai vari pasti in famiglia con parenti che non hanno la tua stessa sensibilità nei confronti di piaghe nazionali come il patriarcato, il sessismo, la misoginia.
Le difficolta maggiori, infatti, le incontriamo in casa. Delia più di tutti le incontra, con dolore, tra le mura domestiche in C’è ancora domani.
Forse il riguardo che sento nei confronti di mio padre e mio zio è lo stesso che sente Delia nei confronti del marito. Abusivo e violento, ma è pur sempre il marito, in un’epoca storica in cui alle femmine veniva inculcato un senso di dovere assoluto nei confronti del coniuge uomo. Ma che Delia non si ribelli direttamente al marito non è una rinuncia, né una sconfitta. Perché lei trova un’altra strada, sceglie di esercitare il proprio diritto di autodeterminazione in un altro modo: andando a votare il 3 giugno 1946, unendosi a un fiume di altre donne a cui per una vita intera fino a quel giorno questo diritto era stato negato.
Se in questi giorni di feste in famiglia facciamo esperienza di impotenza e frustrazione nel portare avanti i nostri valori con familiari a cui vogliamo bene, ma che la pensano diversamente, ricordiamoci di Delia che va a votare il 3 giugno 1946. Il marito abusivo a casa c’è ancora, ma è lo sguardo sul futuro accompagnato da un’azione ben precisa — per quanto difficoltoso sia stato per lei compierla, come vediamo nel film — che la libera. E liberando lei, libera tutte.
Se come me non lo sapevate, il referendum su monarchia e repubblica si tenne su due giorni, non solo il 2 ma anche il 3 giugno del 1946. Delia voleva andare a votare domenica 2, ma per una serie di motivi non ci riesce; per fortuna c’è ancora domani, e lunedì 3 è il giorno giusto.