Il mio viaggio-inchiesta nella coscienza degli italiani sui valori legati al genere
Tra gennaio e febbraio viaggerò alla ricerca di conversazioni umane con gli italiani che non percepiscono, o minimizzano, o ridicolizzano i problemi legati alle disparità di genere. Poi ne scriverò.
L’enfasi è davvero sulla storia umana degli italiani con cui dialogherò e sulla connessione umana che può crearsi tra me — femminista, completamente devota a un certo sistema di valori — e chi non la pensa come me, perché è proprio nella possibilità di questo rapporto umano, privo di giudizi, che si gioca la partita della coscienza collettiva sui valori di genere.
È da settimane che ho pianificato questo post1.
L’ho sempre pensato così fondamentale, così cruciale per lo sviluppo di questa newsletter e della mia voce di scrittrice, che ora che è giunto il suo momento, le parole per scriverlo per bene mi sfuggono, annebbiate dal perfezionismo, dal timore e dai tentennamenti.
Perché con questo post voglio annunciare il progetto a cui sto lavorando da mesi e il viaggio che intraprenderò il 15 gennaio 2024, tra esattamente un mese: un’inchiesta giornalistica tra gli italiani che non percepiscono, o minimizzano, o ridicolizzano, o rigettano i problemi legati alle disparità di genere, al sessismo e alla misoginia (la parola d’ordine del momento è “patriarcato”). L’ipotesi di partenza è che comprendere la prospettiva e la storia umana di questi italiani in maniera più approfondita possa aiutarci a riflettere su come incamminarci insieme verso una coscienza collettiva su quelli che, per semplicità, chiamo “valori di genere”: un sistema di principi e ideali fondamentali in materia di uguaglianza tra uomo e donna, non solo a livello di accesso a opportunità economiche, sociali e politiche, ma anche di rispetto e valorizzazione della persona, del suo ruolo e della sua immagine.
Benché in seguito al femminicidio di Giulia Cecchettin sembri che, per fortuna, qualcosa stia cambiando nel dibattito nazionale sui temi di genere, una coscienza collettiva sui valori di genere ancora manca in Italia. Ciò significa che il nostro paese non deve solo fare i conti con gravi disparità di opportunità e trattamento tra uomo e donna, ma anche e soprattutto, a monte, con una schiera ben nutrita della popolazione che oppone resistenza al discorso su queste disuguaglianze, le minimizza, addirittura le ridicolizza, perché non percepisce proprio l’esistenza e/o la gravità del problema. La consapevolezza sui valori di genere non è ancora condivisa a livello di società e cultura. Il benaltrismo, ovvero la tendenza a sostenere che “l’Italia ha problemi più importanti”, è un atteggiamento estremamente diffuso.
Tra gennaio e febbraio 2024, sarò in viaggio tra una quindicina di luoghi lungo tutta la Penisola, selezionati perché legati a un aspetto o un momento della storia della donna e della condizione femminile in Italia. La storia di questi luoghi offrirà un pretesto per dialogare con gli italiani che incontrerò nel cammino (letteralmente: per la strada, nei bar, nei circoli, negli stadi, negli hotel, negli Autogrill, in stazione…). Vi svelerò i luoghi a poco a poco nelle prossime settimane. Se conoscete questi luoghi, ci avete vissuto, o ci vivete ora, fatemi sapere, soprattutto se avete consigli su persone con cui parlare, realtà da incontrare e posti da visitare!
Questa inchiesta non è un sondaggio. Quando rientrerò negli Stati Uniti, dove vivo, dopo averla terminata, non mi siederò davanti al computer a calcolare quanti italiani hanno detto cosa. Non solo non potrei mai farlo in maniera esaustiva con le risorse che ho a disposizione, ma non è neanche il mio compito come scrittrice e giornalista. Rifletterò invece in maniera analitica su quello che le mie conversazioni “di strada” ci dicono sulla coscienza sui valori di genere in Italia e su come si potrebbe costruirla in maniera collettiva a partire non da numeri, ma dalla nostra storia umana.
L’enfasi è davvero sulla storia umana degli italiani con cui dialogherò e sulla connessione umana che può crearsi tra me — femminista, completamente devota a un certo sistema di valori — e chi non la pensa come me, perché è proprio nella possibilità di questo rapporto umano, privo di giudizi, che si gioca la partita della coscienza collettiva sui valori di genere.
Vi confesso che ho una paura folle. Di partire per questo viaggio-inchiesta, e di rendervene partecipi.
Sento sulle mie spalle la gravità — nel senso etimologico di gravitas: peso, importanza — di annunciare il mio progetto pubblicamente, non perché mi reputi io importante, anzi: altro non sono che una sconosciuta formichina i cui venticinque lettori non sono solo proverbiali, ma la realtà. Il peso deriva dalla paura che quello che appare a me come un progetto ambizioso — al quale tengo tantissimo e al quale ho anche assegnato un valore personale per il mio futuro professionale — sia in realtà sciocco, inutile e impossibile da realizzare, e come tale venga giudicato da chi ne sente parlare. Provo imbarazzo a condividere tutti questi dettagli, perché mi mettono in una posizione di vulnerabilità, sempre nel senso etimologico che deriva da vulnus: condividendo una parte importante di me stessa e del mio lavoro, mi espongo alla possibilità di essere ferita.
Ve lo dico, ad esempio, che su questa inchiesta ho intenzione di scriverci un libro? Che è una cosa talmente seria che è da mesi che sto lavorando con Simona, una editor spettacolare, che condivide i miei stessi valori e che mi sta guidando in maniera brillante, tanto che non finirò mai di ringraziare l’universo per avermela messa sulla strada? E se dopo mesi di preparazione delle interviste non riesco a trovare nessuno con cui intrattenere una conversazione autentica? Il mio sogno è quello di sedermi a un bar con un* benaltrista incallit* e parlare per ore, da essere umano a essere umano, senza giudizio, del perché la pensa così. Vorrà il destino che questo sogno diventi realtà? Dov’è finita quella sana dose di superstizione che scorre nel mio sangue italiano, che vorrebbe che certe idee particolarmente ambiziose rimanessero nella mia testa perché sennò non si avverano — e che sto bellamente ignorando?
Ho paura, perché la piattaforma dalla quale scrivo è molto piccola. Ho paura che tutto questo lavoro non porti da nessuna parte. Ogni volta che mi presento come scrittrice mi sento un’impostora. Master in giornalismo ed esperienza di giornalismo ce li abbiamo, ma entrambi ottenuti qui negli Stati Uniti: il tesserino dell’ordine italiano — sulla cui esistenza ho comunque ho molte riserve, e non sono l’unica — non ce l’ho. Posso sperare di essere presa sul serio?
Nel timore che ciò non succeda, mi sento sempre in dovere di spiegare come sono arrivata qui: passato da traduttrice poi giornalista, ho lavorato per sei anni e mezzo a Google News, poi mi hanno messo in esubero e ho capito che era venuto il momento di fare davvero quella che scrive — di essere me stessa, ora o mai più. Mi giustifico spiegando che un’inchiesta simile l’ha fatta anche Pasolini nel documentario Comizi d’amore… ma non mi paragono a Pasolini eh, per carità! È solo un esempio (per ogni uomo che manca di umiltà senza rendersene conto, c’è una donna che darebbe di tutto pur di non essere tacciata di poca umiltà, me compresa). Oppure racconto che una delle mie fonti di ispirazione è il libro Strangers in Their Own Land di Arlie Russell Hochschild, sociologa americana di sinistra che si immerge nelle comunità rurali di destra della Louisiana per comprendere di più la loro visione del mondo. È questo che io voglio fare.
Credo di dovermi giustificare perché ho paura che la gente mi reputi matta. Va in giro da sola per il paese a parlare con degli sconosciuti e pensa di poterci pure scrivere un libro? Il senso di stranezza è tale che faccio fatica a parlare di questo lavoro anche con la mia famiglia e il mio compagno.
La verità è che è la natura del mio progetto è proprio questa: un’avventura in divenire, che parte esattamente da questo preciso momento di onestà, vulnerabilità e imperfezione, senza sapere dove arriverà. Il mio viaggio-inchiesta inizia con questo post e la sua ammissione di incertezza, perché davvero non so cosa troverò sulla strada — ed è questo il punto, e il bello.
Ho sempre amato la poesia Prima del viaggio di Eugenio Montale2. Ormai vent’anni fa, la mia professoressa di italiano ce la fece studiare con cura in seconda liceo. Forse è cliché citarla, ma mai come ora comprendo e sento mio il significato di quell’imprevisto che è la sola speranza. Ho sempre voluto che Montale si fosse fermato a quella frase lì in conclusione della poesia (se non la conoscete, il testo è riportato a piè di pagina), invece di alludere all’idea che forse è una stoltezza sperare nell’imprevisto. Perché io non credo che lo sia. Il mio viaggio è stato a lungo puntigliosamente preparato, per ansia, per perfezionismo, per paura, ma l’unico rimedio che può portare sollievo a questa paura è proprio l’imprevisto che mi attende. E no, non credo sia una stoltezza dirselo.
Questo imprevisto potete esserlo anche voi, cari miei venticinque lettori! Sarei onorata se aveste voglia di accompagnarmi con la vostra curiosità, le vostre idee, il vostro feedback su questo progetto, che potete sin da ora lasciare nei commenti. Potete iscrivervi a questa newsletter gratuitamente per ricevere aggiornamenti dalla strada. I post non saranno dietro a paywall per permettere a tutti di leggerli e scrivere commenti. Tuttavia, se qualcuno avesse la voglia e la possibilità di sottoscrivere un abbonamento a pagamento, c’è un’opzione mensile (5€) e annuale (50€). I proventi saranno utilizzati unicamente per sostenere il progetto durante il viaggio-inchiesta e nelle fasi successive3.
La partenza da Bologna, dove ho casa in Italia, è fissata per lunedì 15 gennaio 2024. Oltre ad appunti, pensieri, riflessioni dal viaggio condivisi in forma più lunga e strutturata qui su Substack, condividerò aggiornamenti lampo, foto e video giornalmente anche su Instagram.
Grazie a chiunque vorrà tenermi compagnia lungo la strada!
Io li chiamo post perché uso Substack tramite app, ma molti di voi, se non tutti, riceveranno questo scritto via email, sotto forma di newsletter. Vi raccomando comunque l’utilizzo della app, che a mio parere semplifica l’esperienza di lettura e vi espone anche a tanti altri scrittori e contenuti. Segnalo in particolare la newsletter di Giulia Blasi, Servizio a domicilio, e quella di Anna Menale, Femminismi.
Prima del viaggio si scrutano gli orari, / le coincidenze, le soste, le pernottazioni / e le prenotazioni (di camere con bagno / o doccia, a un letto o due o addirittura un flat); / si consultano / le guide Hachette e quelle dei musei, / si cambiano valute, si dividono / franchi da escudos, rubli da copechi; / prima del viaggio s'informa qualche amico o parente, si controllano / valige e passaporti, si completa / il corredo, si acquista un supplemento / di lamette da barba, eventualmente / si dà un'occhiata al testamento, pura scaramanzia perché i disastri aerei / in percentuale sono nulla; / prima / del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che / il saggio non si muova e che il piacere / di ritornare costi uno sproposito. / E poi si parte e tutto è O.K. e tutto / è per il meglio e inutile. // E ora, che ne sarà / del mio viaggio? / Troppo accuratamente l'ho studiato / senza saperne nulla. Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / che è una stoltezza dirselo. (Eugenio Montale, “Prima del viaggio”, Satura, 1971)
Voglio essere trasparente: sia il viaggio che il progetto in generale sono altrimenti autofinanziati dai risparmi di anni di lavoro come donna in un ambiente fortemente maschile e maschilista.