Auto di lusso in corsia di sorpasso
Se vi siete mossi per il paese quest'estate, avrete anche voi fatto esperienza dell'uomo in eccesso di velocità che pretende di sorpassarvi e prendersi spazio

La scena si ripete in fotocopia: autostrada, corsia di estrema sinistra, veicolo marca Mercedes, BMW, Audi, magari Volvo o Alfa Romeo, modello SUV o sportivo.
La chiamano corsia di sorpasso, ma quando l’autostrada è a due corsie, è in sostanza la corsia di chi procede a velocità più sostenuta, gravitando comunque attorno al limite di 130 km/h; la destra la lasciamo a chi col pedale è un po’ più conservatore (nessuna metafora, giuro).
Il veicolo di marca costosa si manifesta nello specchietto retrovisore in un istante. L’immagine appare improvvisa come un lampo, repentina, senza gradualità. Prima non c’era e poi c’è, e quando tutto a un tratto c’è si fa foriera di minaccia. L’auto di marca costosa diventa sempre più grande, corre corre corre, si ingigantisce, non accenna a rallentare in previsione dell’ostacolo di fronte. È un attimo, e te la ritrovi lì… attaccata al culo, dicono a Parigi.
L’identità di chi è alla guida è prevedibile come l’A14 intasata nel tratto Bologna-Riccione alle cinque di un venerdì pomeriggio d’estate. Uomo bianco tra i 40 e 70, sguardo bieco e inamovibile — non gliel’ha mai detto nessuno, che è possibile anche sorridere — maniche di camicia azzurra, occhiali da sole scuri.
Vuole. Chiede. Pretende.
Spazio, tempo, il diritto a superare il limite.
Ora.
Voglio e mi prendo, non me ne frega un cazzo di niente.
La richiesta di spazio a pugno duro è volutamente ignara del contesto che la circonda. A chi è disgraziatamente frapposto fra l’uomo in auto di lusso e il superamento del suo limite — e non solo quello della velocità — non è concesso il tempo di organizzarsi affinché la libertà altrui, per quanto pretesa con la forza, possa quantomeno realizzarsi in condizioni di sicurezza.
No: nel rincorrere il proprio diritto, l’uomo al volante dell’auto di lusso non concepisce il diritto tuo di guardare nello specchietto per assicurarti di aver spazio di manovra per spostarti nella corsia di destra, e poi mettere la freccia, e poi eseguire la manovra.
Oppure, il tuo diritto ad aspettare: a volte lo spazio per eseguire la manovra proprio non c’è, ma all’uomo che corre al volante dell’auto di lusso non interessa. Tallona, strombazza, sbuffa — lo vedi dallo specchietto — perché la bocca è pronta per lamentarsi, le mani allenate ad accanirsi sul clacson, i piedi bravissimi a spingere sul pedale, ma gli occhi rimangono chiusi. La sua corsa è così cieca che l’uomo in auto di lusso non si accorge, o fa finta di non accorgersi, che la corsia di destra è intasata da una barriera di camion o una colonna di auto, e che per il momento non è possibile lasciar passare senza fare un bel pasticcio.
La pretesa di spazio è assoluta, incondizionata, cattiva. Violenta.
L’arroganza dell’uomo al volante di un’auto di lusso in corsia di sorpasso è una forma di violenza. Crea difficoltà psicologica, e il rischio di male fisico.
Fatico a trovare una metafora più appropriata della prepotenza stradale per descrivere il maschilismo e la prevaricazione maschile sulla dignità femminile — ma anche l’individualismo, l’egoismo, il privilegio che genera ripiegamento su di sé invece di un più generoso anelito a creare spazio anche per gli altri.
Cosa succederebbe se li fermassimo? Se ci mettessimo tutti d’accordo per non lasciarli passare?
Tra settantadue ore è Ferragosto, tra trentasei il mio trentacinquesimo compleanno, e da tre sto cercando di farmi venire in mente come chiudere questo pezzo nella maniera costruttiva, e non distruttiva, richiesta da questa felice settimana dell’anno.
Forse basta semplicemente tornare alla metafora della velocità: quella che lasciamo per un attimo da parte durante le vacanze d’agosto — eccezion fatta per gli uomini della corsia di sorpasso — quella che più avanzo nei trenta, meno mi corrisponde. Perché la velocità ha a che fare con un futuro che impedisce di vivere il presente. Ha a che fare con l’ansia, con la fretta, con lo stress di arrivare… dove, esattamente?
Tra le tante cose che ho letto finora quest’anno, mi ha di più colpito un passaggio di questa newsletter di Elizabeth Gilbert, l’autrice di Mangia prega ama. Gilbert racconta la storia (reale o fittizia, non è chiaro) di una donna che partecipa a un ritiro di meditazione silenziosa di un mese. Dopo qualche giorno di silenzio, quiete e immobilità forzata, la donna non ce la fa più. Quanto tempo sta perdendo, quando c’è così tanto di cui si deve occupare nella sua vita. Rimarrà indietro, sicuramente! Chiede quindi il permesso di andarsene prima del tempo.
Lo zen master le risponde sorridendo: “Sei sempre libera di andartene, mia cara. Ma non c’è nessun posto dove andare”. There is nowhere to go, nell’originale scritto da Gilbert.
Non c’è nessun posto dove andare: significa che l’unica cosa che conta è il presente, il qui e l’ora. E se così, allora, non è possibile rimanere indietro.
Ho provato un senso di liberazione immenso, leggendo queste parole. Tutta l’ansia di dover realizzare i miei progetti di scrittura il più velocemente possibile, per potermi concedere il più velocemente di reclamare l’appellativo “scrittrice” senza sindrome dell’impostora, tutta quest’angoscia è scivolata via dalle mie braccia con la scoperta che there is nowhere to go. È nel segno di questa consapevolezza che entro nel mio trentaseiesimo anno di vita.
Ed è così che chiudo questa newsletter di mezzo agosto: ricordando a me e ricordando a voi che non c’è nessun posto dove andare. C’è il qui, c’è l’ora, e c’è la grazia nei confronti di noi stessi, degli altri, del mondo.
Tutto ciò che manca all’auto di lusso in corsia di sorpasso.
Nel "qui e ora", avresti già dimenticato l'uomo sull'auto di lusso 😀 A parte gli scherzi, capisco la situazione anche se non ne farei una questione di genere. Sì, noi uomini siamo una categoria difficile - anche senza possedere un auto di lusso, figurati gli altri - però ho visto donne altrettanto aggressive alla guida (una l'ho sposata). Io comunque sono un fan della prima corsia: se la gente fosse premiata nell'utilizzarla (chessò, un pieno di benzina ogni 2000 km in prima corsia), il traffico dal bollino (e umore) nero, cambierebbe di gradazione almeno in un grigio antracite.